Léon Bloy (1846-1917) fu in continua polemica con la società del suo tempo, e in particolare con la borghesia e la sua cultura, irridendone i “luoghi comuni” in questa Anatomia, apprezzata in particolare da Walter Benjamin. Molti di questi “luoghi comuni” sono tuttora presenti nel mondo contemporaneo ché, nella sua essenza, la borghesia non è certo cambiata (al suo opposto ci sono per Bloy i poveri), nonostante i suoi faticosi aggiornamenti. “Bisogna mangiare per vivere”, “Gli affari sono affari”, “Tutte le strade portano a Roma”... Con verve satirica di prim’ordine, Bloy li mette in discussione con spietata e implacabile acutezza, mostrandone superficialità e stupidità. Ognuna di queste esegesi ha il piglio del racconto, la forza dell'esempio. Forse solo Flaubert con i suoi Bouvard e Pécuchet così formidabilmente stupidi è stato pari a Léon Bloy.
Léon Bloy
Léon Bloy nasce a Perigueux, in Francia, nel 1846. Cresciuto in una famiglia borghese, dopo un’adolescenza solitaria e travagliata, si trasferisce a Parigi all’età di 18 anni. Qui subirà una trasformazione radicale: spregiudicato anticlericale con toni decadenti da poeta maledetto, si converte in fervente cattolico, vicino all’ascetismo. Politicamente controrivoluzionario e conservatore, non aderì mai a nessun tipo di partito politico, per il suo convinto disprezzo nei confronti della politica attiva. Muore nel 1917. Le sue opere riflettono una profonda devozione alla Chiesa cattolica, mosse da un ardente desiderio dell’Assoluto. Tuttavia i suoi scritti sono caratterizzati da toni violenti, tanto da valergli la nomea di integralista religioso. È stato d’ispirazione ad autori come Ernst Jünger, Jorge Luis Borges ed Henri Bergson. È stato anche citato nella prima omelia di Papa Francesco e in altre occasioni dal pontefice.