Il tema nordico del Pifferaio magico è il pretesto che la grande poeta russa coglie per orchestrare le aspre dissonanze di una “satira lirica” contro il filisteismo. L’Accalappiatopi esprime l’antinomia fondamentale della poetica di Marina Cvetaeva: il conflitto tra l’Anima-Poesia e il corpo, ovvero il quotidiano, che esige dal poeta la resa assoluta.
Composto negli anni dell’emigrazione fra Praga e Parigi, L’Accalappiatopi è l’ultimo poema di Marina Cvetaeva ispirato a un motivo del folclore, la leggenda del Pifferaio magico. Ammaliati dal suono del flauto – seduzione femminile della Musica – i topi sognano di una rivoluzione mondiale in un’India favolosa. Seguono il Pifferaio incantati da miraggi d’Oriente. Incalzante il ritmo del flauto e dell’intero poema, musica demònica che conduce alla morte non-morte nel regno della libertà. L’originale interpretazione della fiaba vuole che i topi siano salvati dall’imborghesimento e i bambini di Hameln sottratti per sempre all’orrore della ripetizione. Il loro esodo verso una terra promessa, Paradiso della Poesia, Eden e Sesamo, avviene in un tripudio di azzurro, mitico colore dell’Anima romantica.
Il tema nordico del Pifferaio magico è il pretesto che Marina Cvetaeva coglie per orchestrare le aspre dissonanze di una “satira lirica” contro il filisteismo. L’Accalappiatopi esprime l’antinomia fondamentale della sua poetica: il conflitto tra l’Anima-Poesia e il corpo, ovvero il quotidiano, che esige dal poeta la resa assoluta. Così avvenne per Majakovskij, per Cvetaeva, Esenin, poeti “dissipati”dalla propria generazione. Lo scontro si dinamizza nel tessuto poetico, dispiegato lungo un ampio registro, che alterna toni alti e bassi, dizione biblica e modi colloquiali o gergali.
Marina Cvetaeva
Marina Ivanovna Cvetaeva nasce il 26 settembre 1892 a Mosca, dove il padre fonda nel 1912 il Museo di arti figurative. La madre, brillante pianista, trasfonde nella figlia il culto della musica, dominante nella sonorità della sua poesia che si afferma presto come una delle più alte e originali del Novecento russo. Nel 1912 sposa Sergej Ėfron. Tra il 1917 e il 1920 patisce gli stenti della guerra civile, isolata a Mosca insieme alle figlie, Ariadna (Alja) e Irina, che morirà di fame in un asilo di Stato, mentre il marito milita nelle fila della Guardia Bianca. Tra il 1922 e il 1927 pubblica la maggior parte della sua opera, che comprende liriche, poemi, testi teatrali, prosa. Nel 1923 raggiunge il marito a Praga, dove nasce il terzo figlio, Georgij (Mur). Trasferitasi nel 1925 a Parigi con la famiglia, vi conosce isolamento e cupa povertà. Nel 1926 intreccia un vertiginoso rapporto epistolare con Pasternak, suo “pari” per forza poetica, e Rilke, “Orfeo germanico”. Nel 1937 marito e figlia rientrano in URSS, dove Cvetaeva li raggiunge nel 1939 con Mur. Sergej Ėfron viene arrestato e fucilato, Alja inviata al confino interno. Allo scoppio della guerra, ripara nella cittadina tatara di Elabuga. Qui, assediata da abbandono e somma indigenza, si toglie la vita il 31 agosto 1941.