Seimila gradi di separazione è un libro per tutti e per nessuno. Innanzitutto trascura i preziosi strumenti narrativi dell’autofiction. L’autore non parla mai di se stesso. A differenza del 99,99 per cento della letteratura italiana di qualità trascura completamente l’Io. Non ci sono accenni né alla lotta di classe né ai tormenti esistenziali. E persino il prezioso aiuto della psicoanalisi è ridotto a pochi insignificanti passaggi. Seimila gradi di separazione manca nella maniera più completa di realismo. Gli editor non si sono arresi, hanno provato a cercare seppur minime corrispondenze dei personaggi, delle situazioni, dei nomi delle vie. Nulla! Non c’è alcun rapporto con la vita dell’autore. Tutto è inventato di sana pianta! (meglio ancora, di pianta malata). Insomma Seimila gradi di separazione è totalmente privo di autobiografismo. L’Io dell’autore non si trova nemmeno a cercarlo con il lanternino. Contiene invece tracce di glutine, di sesso estremo, di enigmi extraterrestri, di entomologia. E ti mette voglia di capire come tutto ’sto intrigo di personaggi andrà a finire. Insomma Seimila gradi di separazione è un libro imprescindibile. E che c’entra il titolo? Nel piccolo villaggio globale in cui crediamo di essere tutti connessi, anche quando perdiamo la connessione perché siamo passati a iliad per risparmiare, siamo in realtà separatissimi. Ci proviamo con i genitali, con whatsapp, con il veleno per scarafaggi, con le poesie di Ovidio, con una striscia di coca. Ma siamo soli come cani. O come pedine di backgammon abbandonate sulla spiaggia libera nella sabbia, tra le onde, la plastica, i pesci morti.
Bruno Ventavoli
Bruno Ventavoli è nato a Torino nel 1961. Dirige TuttoLibri, l’inserto settimanale della Stampa dedicato ai libri. Studioso di letteratura ungherese, ha tradotto tra gli altri Géza Ottlik, Magda Szabó, Antal Szerb, György Dragomán e László Krasznahorkai. Dopo aver pubblicato quattro gialli, questo è il suo quinto romanzo.