Shokoofeh Azar, prima di scriverli, è stata una precoce ed entusiasta divoratrice di libri, presenze imprescindibili nella sua casa natale dove rappresentavano un bene prezioso che più veniva goduto, più acquistava valore. Le sue letture sono state onnivore, ma di preferenza la scrittrice si intratteneva con miti, racconti e fiabe persiane. Leggendo L’Illuminazione del Susino Selvatico questa gioiosa voracità, unita alla passione per miti e leggende, è evidentissima: tutta la storia non solo è gravida di magia e misticismo, ma è anche un canto d’amore alla lettura che crea o dissolve mondi, disvela oppure occulta, e così come unisce può anche instradare su percorsi che divergono dalla strada comune.
Non è un caso, dunque, se uno dei momenti più significativi del libro accade quando i protagonisti si vedono costretti a dare alle fiamme la loro intera biblioteca. Il capostipite, incapace di rassegnarsi a vedere incenerita la vita racchiusa in quelle pagine, dopo settimane di luttuoso dolore, chiede che tutti i membri della famiglia inizino a scrivere ciò che ricordano di ciascun libro messo al rogo. Ed è così che le storie, seppure riassunte e frammentate, tornano a vivere, rievocate dalla passione, dall’amore e dall’impegno di una stirpe di lettori, poeti e pensatori. In questo momento drammatico e lirico, la scrittrice evoca tutto il potere della lettura e della scrittura che permettono all’immaginazione di incarnarsi in storie non meno reali di quelle che i protagonisti vivranno sulla loro pelle.
Con la resurrezione di autori e personaggi, filosofi, mistici e poeti, compositori e pittori, anche voci e canzoni, mormorii, bisbigli e risate si fecero di nuovo strada nella nostra casa. Di nuovo si riempì di un barlume di luce e di poesia.
Ogni singolo personaggio del libro è, infatti, modellato dalla sua esperienza mortale, dal modo in cui i libri hanno veicolato e fatto sedimentare idee e pensieri nelle loro menti, e dal realismo magico che, in modo inaspettato e affascinante, tiene insieme vivi e morti, lega il destino di persone e geni, fa coesistere esseri umani e creature mitologiche.
l'illuminazione del susino selvatico
Siamo in Iran, all’indomani della rivoluzione islamica. Bahar, io narrante, abbandona Teheran, in fuga con la sua famiglia dalle repressioni e dalle persecuzioni politiche del nuovo regime. Il gruppetto trova riparo nell’isolato villaggio di Razan, occultato tra i lussureggianti boschi di Mazandaran. Il luogo emana una potenza mistica e ancestrale: tra la vegetazione rigogliosa, e le rovine di un antico tempio zoroastriano, trovano posto manifestazioni ultraterrene, fantasmi e geni, tutti animati da desideri e bisogni quasi quanto i vivi con cui condividono la loro esistenza.
La famiglia è composta dai coniugi Hushang e Roza, e dai loro tre figli: Sohrab, incarcerato e torturato dal regime, l’idealista Beeta, e dal fantasma di Bahar. La ragazza è infatti morta a causa di un incendio, ma l’amore e il bisogno reciproco di non recindere il legame famigliare ha fatto sì che la famiglia desse vita a questo bizzarro ménage in cui alla morte di un membro non è seguita l’inevitabile separazione.
Attraverso il racconto di Bahar assistiamo a decenni in cui passato e futuro si rincorrono, mentre tutte le persone care all’io narrante vanno incontro al loro destino segnato da rivelazioni mistiche e barbarie. Sokoofeh Azar ci consegna così un testo palpitante di meraviglia e ineluttabilità, con una prosa vivida e ricca tanto quanto i boschi fitti e rigogliosi che descrive. Ma l’autrice ha anche molto a cuore la resa di un periodo storico devastante per la popolazione e per le libertà individuali, e dalle pagine del suo libro si staccano nitidamente i decenni in cui è imperversata una violenza sorda e fanatica che si è abbattuta annichilendo sia il corpo che lo spirito dei dissidenti e dei liberi pensatori.