Se la voce di Fabrizia Ramondino risuona ancora forte e chiara nel panorama italiano contemporaneo è anche per la vocazione politica che innerva la sua produzione letteraria, anzi la precede.
Ramondino pubblica Althénopis nel 1981 e sorprende la cerchia dei suoi amici e compagni. Pochi sanno che coltiva da tempo la scrittura, eppure tiene sul tavolo la cartellina con il manoscritto. Una volta uscito, il romanzo dalla lunga gestazione la impone alla critica e al pubblico. Con una felice invenzione, il titolo attribuisce una presunta radice semantica «occhio di vecchia», Althénopis appunto, al nome di Napoli, la città che un anno prima il terremoto ha sconquassato sia geologicamente sia moralmente.
Fino allo svelamento della sua vocazione di narratrice, Fabrizia Ramondino ha fatto politica più che letteratura. Eppure sono per lei due militanze tutt'altro che distanti. Alla base di entrambe c'è l'attenzione all'altro, alla voce dell'individuo dentro il brusio indistinto della moltitudine, alle classi sociali disagiate, marginali, oppresse, agli interni domestici e miseri, ai lavori materiali, che ha conosciuto fin da bambina, nella dorata infanzia maiorchina, attraverso la presenza della servitù e della balia con la quale ha condiviso la quotidianità.
Figlia di genitori alto borghesi e cosmopoliti, il suo apprendistato socio-intellettuale inizia dalla frequentazione di settori della sinistra eretica, con un forte interesse per le posizioni anarchiche e per il socialismo di Proudhon. Al ritorno dal primo dei numerosi soggiorni in Germania (raccontati poi in Taccuino tedesco ), attraversa un periodo di depressione dalla quale la salvano le lezioni impartite alle figlie di una cameriera della madre. Poi il doposcuola si allarga, arrivano altri bambini e anche adulti. Il primo attivismo della scrittrice è quello pedagogico, di impianto freinetiano, svolto all'Arn, l'Associazione risveglio Napoli, fondata insieme a una ventina di persone (tra cui Lamberto Borghi e Vera Lombardi), con sede nel centro storico di Napoli. L'autrice racconta anni dopo le origini di questo impegno ne L'isola dei bambini : «...i bambini mi salvarono dal mio male... Celebravo, ma non lo sapevo allora, il mio passaggio all'età adulta, che per una giovane donna una volta significava fare un bambino, per me invece fu saperlo portare in spalla».
Con il Sessantotto si aprono fronti interni e divisioni, alcuni lasciano l'associazione. Agli inizi degli anni Settanta nello stesso edificio che aveva ospitato l'Arn, a Palazzo Marigliano, si riunisce il Centro di coordinamento campano. La militanza si andava trasformando sul piano politico e intellettuale, Fabrizia si avvicinava al metodo dell'inchiesta sociale, che si esprimerà pienamente nel suo primo libro, quello sui disoccupati organizzati.
Negli anni del Centro di coordinamento campano nascono amicizie e rapporti destinati a durare una vita mentre altri sono passeggeri, alcuni dolorosi, altri ancora proficui, necessari. È il periodo delle frequentazioni con Giovanni Mottura, che veniva dalla esperienza di Danilo Dolci e dai «Quaderni rossi», e con Enrico Pugliese, allievo di Manlio Rossi Doria. Lunghe riunioni, scontri, discussioni, ideologia ma non solo: Fabrizia Ramondino accoglie e rielabora lo spirito migliore del Sessantotto, quello dell'incontro con le persone reali, dell'ascolto delle loro esigenze, attraverso l'orizzontalità dello sguardo e la capacità di compiere gesti concreti di avvicinamento.
È Goffredo Fofi a commissionarle l'inchiesta sui disoccupati, che sarà pubblicata da Feltrinelli nel 1977. Le sue case - ne ha cambiate tante - sono frequentate dai disoccupati, che non hanno soggezione di lei, nonostante un certo suo tratto aristocratico e la scarsa familiarità con il dialetto. E il suo carattere a tratti ruvido non ostacola la nascita di rapporti profondi. Il saggio del '77 è costruito attraverso le interviste ai protagonisti di quella stagione combattiva, precedute da una lunga introduzione, più di quaranta pagine per molti versi lungimiranti. In particolare, l'autrice sottolinea gli errori della sinistra nei confronti del «proletariato marginale» e denuncia l'illusione relativa a un vagheggiato «capitalismo sano» che possa risolvere l'arretratezza del Mezzogiorno. La disoccupazione, invece, è una delle priorità da affrontare. (...)