“Eil maître mi diceva che io sarei stato un buon maître ma che dovevo coltivare la capacità, quando entrava un cliente, di ricordarmelo e di sapere quando andava via, non a mezzogiorno quando c’è il guardaroba, ma al pomeriggio, quando si serve il caffè, per imparare a riconoscere quelli che vogliono soltanto mangiare e andarsene inosservati senza pagare”.
Cecoslovacchia, sono gli anni delle tensioni e della successiva invasione della Germania nazista. È qui che ci porta Hrabal, facendoci indossare i panni di un aspirante cameriere, Jan Díte, un uomo minuto di statura che vive in una costante posizione di inferiorità rispetto al prossimo.
“Però mi accadde nuovamente una cosa spiacevole, andai per la terza volta alla visita di leva, ma anche la terza volta non diventai soldato perché non avevo la misura, anche se tentai di corrompere i funzionari militari non mi arruolarono ugualmente”.
Díte prova a barcamenarsi per mettere insieme un gruzzolo prestando servizio in diversi hotel, dove ogni volta gli accadono episodi che lo obbligano a cambiare posto di lavoro. La narrazione in prima persona consente di apprezzare da vicino l’ingenuità del protagonista, che riveste con petali di peonie la pancia di una prostituta della Casa Paradiso e con rametti d’abete quella di una giovane tedesca di cui si innamora; che raduna i soldi guadagnati sul pavimento per ammirarne la quantità, proprio come gli aveva insegnato un venditore di affettatrici e bilance; che si rivolge ai suoi superiori dimostrando sempre grande sottomissione; che perde sistematicamente le sue scommesse con il maître molto più esperto di lui, ma lo fa perché lo ritiene l’unico modo per continuare a imparare e a crescere nel mestiere; che si sente in colpa per aver ricevuto la decorazione per il servizio offerto all’imperatore d’Abissinia, perché avrebbe preferito fosse assegnata al suo maestro, o al maître dell’hotel Sroubek.
Ma la vita di Díte un giorno cambia radicalmente in seguito a un incontro con una giovane tedesca, che gli rivoluzionerà l’esistenza.
“ora mi accorsi, mentre diceva questo, che la guardavo occhi negli occhi, che non ero costretto a guardarla come le altre donne, io avevo sempre avuto la sfortuna che tutte le donne che avevo incrociato in vita mia, tutte erano più alte di me […] e vidi che lei era piccolina proprio come me, che le luccicavano gli occhi verdi e che era spruzzata di lentiggini proprio come me, ma quelle lentiggini marroncine sul suo volto insieme agli occhi verdi creavano un’armonia così bella che vidi come a un tratto era bella, ma mi accorsi inoltre che anche lei guardava me allo stesso modo…”.
Un romanzo delicato ma al contempo di non facile lettura. La scrittura di Hrabal è come un fiume in piena: i periodi molto lunghi e la mancanza di punteggiatura conferiscono alla narrazione un ritmo incalzante, ansiogeno, che obbliga il lettore a riprendere fiato alla fine di ogni pagina. Ma è anche una scrittura precisa, minuziosa, attenta, come una telecamera che carpisce ogni movimento, ogni dettaglio, ogni stato d’animo che caratterizza i diversi momenti della vita del protagonista della narrazione. Un libro da leggere con calma, nei momenti di quiete.