Un cane è la voce narrante del libro: Prince, un labrador. Prince vive in una famiglia come tante: il padre Adam che insegna, la moglie Kate e due figli Hal e Charlotte in età adolescenziale.
Il titolo del romanzo può trarre in inganno e far pensare che si tratti di un romanzo che parla semplicemente della vita di un cane e della sua famiglia umana. In effetti c’è molta vita nel libro, quella di tutti i giorni, quella che porta ad amare e a tradire, a provare a superare i limiti nell’adolescenza, quella che fa capire i confini dell’amicizia e del rispetto per gli altri, ma soprattutto c’è la voce della coscienza che spinge a compiere alcune scelte.
Le vicende della famiglia Hunter si intrecciano con quelle di Prince e con quelle dei cani delle persone con cui passeggiano al parco e che svolgono un ruolo determinante nella formazione di Prince.
Protagonisti all’apparenza secondaria, sono gli odori percepiti dai cani, che consentono al lettore di fiutare quello che può succedere e che cosa si può celare dietro ai gesti e ai movimenti degli umani.
“Mentre l’odore di Herny si perdeva in mezzo ai fumi delle auto sapevo che niente sarebbe mai stato lo stesso. In quel momento compresi, per la prima volta, cosa significasse veramente la vita. Caos. E dolore” (p. 226).
Fino a che punto si deve spingere il patto del Labrador, che prevede che questa razza debba sempre e comunque proteggere la famiglia? Questa è la domanda che, in modo molto esplicito, rappresenta il fino conduttore di tutta la narrazione.
In realtà, si potrebbe attribuire un senso diverso a questa domanda. Ovvero fino a che punto la coscienza e il senso del dovere possono e devono muovere le scelte degli individui? E ancora, perché rincorriamo il superfluo senza pensare a cosa conta realmente nella vita? Si può pretendere da se stessi la perfezione o qualcosa che ci vada vicino?
Nel libro la risposta non c’è, ma il lettore può trovare numerosi spunti di riflessione immedesimandosi sia in Prince che nei protagonisti umani. Ogni personaggio porta il suo punto di vista, il suo essere imperfetto e la sua ricerca di felicità, anche se talvolta risulta effimera.
Un senso di smarrimento pervade le pagine, così come una forte sensazione di paura verso quello che la vita può portare.
La contrapposizione al dovere ad ogni costo è rappresentata dal senso di libertà del gatto di casa: Lapsang, con lucidità e freddezza sin dalle prime pagine sentenzia:
“Gli umani sono in crisi. Fingono di essere felici come sempre, ma dietro le porte chiuse è tutta un’altra storia. Sono fuori controllo. Genitori e figli in guerra: gli uni contro gli altri e contro se stessi” (p. 27).
I capitoli brevi portano avanti la storia a piccoli passi e rendono agile e scorrevole la lettura. Anche lo stile, svelto, è caratterizzato da un linguaggio colloquiale.
Il finale straziante ma prevedibile (in quanto accennato nelle prime pagine - non è uno spoiler!) mi ha toccato in modo particolare, perché condivido la mia vita con un cane e, pertanto, ben capisco il pensiero di Prince:
“Noi siamo lì sempre. Ad ascoltare ogni cosa e a offrire le nostre silenziose parole di conforto”.