Leggere questo libro è stata un’esperienza meravigliosa ma devastante, a tratti straziante. La mia devozione di Julia Kerninon è un romanzo particolarissimo nella struttura: una sola voce protagonista, un solo punto di vista, una sola focalizzazione, un racconto insomma che dura una vita e che forse, alla fine, un punto di chiusura non ce l’ha nemmeno.
Leggere questa storia mi ha costretta a fare i conti con eventi della mia vita racchiusi in un recente passato. Leggere questo romanzo mi ha portata a ritrovare su carta scene, pensieri, dubbi, sentimenti, dolori che io stessa avrei potuto scrivere, avendo provato le stesse sensazioni sulla mia pelle, piena di cicatrici invisibili.
La mia devozione parla di Helen e Frank ma parla anche un po’ di me ed è questo ad avermi coinvolta in maniera tale da non permettermi, e me ne scuso, sin da ora, di creare una recensione lucida nei confronti di questo libro.
Perché la devozione di Helen è stata anche un po’ mia e trovarla tra le pagine del libro, descritta in maniera così puntuale e lucida, senza inutili giri di parole, senza fronzoli, ha riportato a galla sentimenti sepolti, accatastati e celati con un panno di stoffa divelto ai bordi, tra le pieghe della mia anima.
Julia Kerninon ha creato un romanzo che non è per tutti. Difficilmente, credo, una persona che non abbia sentito almeno un po’ di ciò che racconta Helen potrà comprendere questa donna straordinaria che ha avuto il solo difetto di rimanere aggrappata ad un uomo con le unghie, con un sentimento che forse non si è resa conto mutare nel tempo, con un amore che non riuscirà mai a comprendere nessuno, se non lei. Se non chi ha provato lo stesso senso di unilateralità, di smarrimento, di perdita.
Nel romanzo, tutto viene a galla, grazie ad uno stile originale e fluido che accompagna il lettore, in questo flusso di coscienza che è anche un monologo privo di momenti di pausa e bruschi capovolgimenti di fronte.
La mia devozione è un libro delicato, lento ma vibrante, ossimorico in un certo senso, un po’ come opposti sono i protagonisti che si affacciano sulla pagina: dedita alle lettere, lei; dedito alla pittura, lui. Due artisti, nel loro piccolo, incapaci di gestire ciò che sentono, ciò che provano, ciò che sospettano. Vittime, entrambi, di vite distorte, sin dalla tenera età; complici di un amore che amore non è, forse è altro, qualcosa di addirittura più profondo, che nessuno può gestire, che nessuno riesce a gestire.
Leggere questo volume edito da e/o edizioni sarà un viaggio nella mente di questa donna, nei suoi sentimenti, nei suoi dubbi. La linea narrativa sarà un continuo altalenarsi di rabbia e devozione. L’empatia con Helen sarà immediata, per pochi; impossibile, per i più.
Tuttavia, nonostante il lettore arrivi a patti con la struttura del libro, nonostante la voce narrante sia una e una sola, nonostante alla fine si giunga ad un finale che finale, a mio parere, non è… C’è un punto in cui la voce di Frank arriva, dritta, concisa, priva di filtri. Un elemento minuscolo che passa quasi inosservato, all’inizio del romanzo, ma che è simbolo di ciò che lui, almeno per un attimo, ha provato. Una poesia.
Ed è a quella poesia che io mi aggrappo, tenacemente, sognando una vita diversa da quella descritta, come una realtà parallela più facile, meno intensa, magari, meno caotica, ma sicuramente più serena. Una vita dove Helen e Frank sono ancora loro, ma con un sorriso delicato stampato sui volti di entrambi.