Alex Beer (gran bel nome maschile per uno scrittore, ma non è maschietto per niente) è una bella signora austriaca. Si tratta dello pseudonimo scelto da Daniela Larcher per firmare i suoi romanzi. Nata a Bregenz nel 1977, ha studiato archeologia. Oggi vive a Vienna e vi ambienta le storie che portano i lettori in uno dei periodi più difficili per l’ex capitale di un impero secolare: gli anni che seguirono la sconfitta nella Grande Guerra, che ha sgretolato l’universo governato da secoli dagli Asburgo.
La donna in rosso è il secondo titolo, pubblicato nell’estate 2019, per i tipi delle Edizioni e/o (traduzione di Silvia Manfredo). Nel luglio 2018 era uscito Il secondo cavaliere, sempre e/o, che ha cominciato a condurci nelle atmosfere corrucciate di una nazione allo sbando.
Fosse stata postatomica e non postbellica, la situazione non sarebbe apparsa diversa agli occhi dell’ispettore distrettuale capo di Polizia August Emmerich. Nel marzo 1920 il conflitto mondiale è finito da poco meno di un anno e mezzo, ma nemmeno durante la guerra le cose erano andate tanto male per la popolazione. Si avvertono ancora più pesantemente le conseguenze del blocco commerciale, imposto dagli anglo-francesi e dagli italiani alle potenze centrali, per l’intero periodo della belligeranza. I viveri restano strettamente razionati. Scarpe e vestiti non vengono prodotti. La disoccupazione cresce a causa della crisi del carbone che ha bloccato l’industria. A illuminare caffetterie e locande provvedono scadenti lampade ad acetilene, che al chiuso ammorbano l’aria. I teatri aprono solo tre ore al giorno. I tram fermano le corse già alle 21.30. A mettere tutti a dura prova, si è messo anche uno degli inverni più freddi e chi se la passa peggio sono i poveri reduci, senza riconoscenza, senza lavoro e più d’uno senza qualche arto. Se non sono mutilati, si distinguono per l’incedere incerto in strada, coperti da resti delle uniformi azzurrine e dal tanfo di sudore, alcol e cibo miserabile che diffondono.
L’Austria langue e non si vede una via d’uscita.
In questa Vienna grigia e desolante, Emmerich ha raggiunto un obiettivo che gli stava a cuore, da investigatore dotato qual è. È stato trasferito all’agognata Sezione Omicidi, sebbene il giovane assistente Ferdinand Winter sia molto scettico sulla loro situazione professionale. Sono stati relegati nella fureria, la sede più infelice, in compagnia di segretarie e uscieri. La motivazione ufficiale della collocazione è la mancanza di spazio, la ragione in realtà è una crisi di rigetto. I componenti della Sezione, tutti arrivati dopo una selezione più che rigorosa, hanno digerito male la promozione alla Omicidi senza esami di due “malandati”. Era stato il precedente caposezione ad acquisirli, premiandoli per aver risolto un caso difficile, ma ora che Horvath è stato sostituito da Gonska nessuno nasconde il nomignolo irridente affibbiato, “Brigata degli storpi”, perché Winter soffre i postumi del grave incidente dell’autunno precedente che gli ha malridotto il braccio sinistro, mentre Hemmerich deve vedersela con l’esito sempre più grave di una ferita di guerra al ginocchio destro, l’articolazione si irrigidisce e solo gli oppiacei gli risparmiano dolori lancinanti. Così, mentre il resto della Omicidi sta affrontando un’impegnativa indagine per venire a capo dell’assassinio di un consigliere comunale benvoluto da tutti, i due sono tenuti lontani dal caso Furst e ridotti a sistemare fascicoli, sbrigare commissioni e preparare caffè.
L’avvicendamento alla testa della Sezione ha trasformato il sogno dell’ispettore nel peggiore degli incubi. August non è fatto per la scrivania, vuole dare la caccia ai criminali e non certo solo sulla carta. Horvat, ora vice capo delle forze di Polizia, da buon mentore, conosce le qualità di un uomo che volontariamente ha condotto un’inchiesta su omicidi plurimi e l’ha pure risolta. Winter, da ragazzetto viziato di buona famiglia si è rivelato un agente in gamba. Però Gonska rifila loro un caso da niente, altro che Furst: una giovane attrice ha chiesto di mettere fine alle maledizioni di una specie di strega. Basta una sera a Hemmerich per venire a capo degli incidenti che capitano sul set di “Pandora”, un film muto sull’antica Grecia. La signorina Haidrich è una bellezza appariscente, niente a che vedere con quella normale di Luise. Ecco un altro rammarico per August: la donna di cui è innamorato e cw ha assistito, facendo da padre ai suoi tre bambini, non era affatto vedova di un disperso, perché l’uomo è riapparso, nel 1919, ridotto agli stracci. La forte religiosità della donna le ha fatto decidere di restare accanto al marito, pur non amandolo, perché il sì pronunciato in chiesa la lega per vincolo di sacramento.
La Omicidi ha trovato un colpevole credibile per il caso Furst, ma Emmerich viene informato da due coinquilini che l’ex soldato arrestato non aveva un movente valido, era anzi beneficiato dal buon consigliere Furst, che gli aveva finanziato le protesi (combattendo sul fronte russo Peppi aveva perso un braccio e parte della testa) e pure trovato un lavoro. Doveva tutto all’uomo assassinato, altro che ucciderlo! All’ispettore resta poco tempo per trovare il vero omicida e questi si mette ancora all’opera, spinto da motivazioni personali che riguardano “la salvezza”. Di chi e da cosa?