Resistere alla tentazione di scrivere senza riflettere un attimo: questo è stato l’impulso che ho dovuto trattenere dopo aver letto questo libro così intenso e insieme vero. Ho respirato, ho aspettato che mi si liberasse la mente. Non ci sono riuscita. Questo libro è un turbinio di emozioni, ti cattura, con la sua prosa intima, con la narrazione che è a metà tra una confessione e un lungo sussurro. La traduzione di Alberto Bracci Testasecca è armoniosa, rende la voce femminile del personaggio, con tutte le sue intonazioni, presente e vibrante.
La storia è quella di due ragazzi, poi adulti, un uomo e una donna, un famoso pittore, Frank e Helene, una letterata, nonché voce narrante del libro. Il narratore interno ci conduce attraverso la sua vita, non tace nulla del profondo sentimento che la lega al suo Frank, un amore profondo e devoto, che finisce, silenziosamente, per rovinarle la vita.
Quando mi hai fatto quella domanda straordinaria “Anche tu odi la tua famiglia?”, in un attimo mi sono sentita vicina a te più di quanto lo fossi mai stata a chiunque. Forse all’epoca era il mio sentimento predominante: l’odio per la mia famiglia, a pari merito con l’amore per i libri. (p. 31)
I due si dividono l’adolescenza dorata e infelice, figli di diplomatici, vivono le proprie crudeltà da due scalini diversi della società, uniti dall’amore per le fughe e l’odio per i genitori. Sono diversi: Helene è animata da un obiettivo, un senso del dovere maniacale, nei confronti della letteratura le vibra dentro, già dalla scuola; Frank è geniale ma pigro, vive di ribellioni, non si impegna in niente, è l’eterno assente, e nello stesso tempo il motore di tutto. Attorno a lui nasce la narrazione, attorno al suo successo gira il mondo di entrambi, si genera un vortice da cui si estranea in fretta, incapace di impegnarsi, di donarsi.
Giravi in tondo, io invece non facevo che lavorare. Non ho mai saputo fare altro che lavorare. È vero. Eppure all’epoca credevo che fosse soltanto un momento della mia vita, e volevo lavorare sodo finché ero giovane e capace. Inoltre alla fine degli anni Cinquanta, mi sembrava una cosa quasi rivoluzionaria. (p. 60)
Questa è la storia di una devozione totale all’altro, che porta ad annullare se stessi; e nello stesso tempo è la storia di un’incapacità di esserci, di viversi davvero, trasfigurandosi nel personaggio che qualcuno crea per te.
La storia prende un arco temporale molto lungo, inizia nel perbenismo degli anni Cinquanta e nel disincanto dei Sessanta, in una splendida cornice dorata romana, in cui la città eterna vede nascere il legame tra i due; continua in un’Amsterdam irriguardosa e bohémien, tra gli eccessi degli anni Settanta. Ha una sua breve fuga nella Boston multiculturale e fredda dei primi anni Ottanta, e chiude il cerchio spaziale in Normandia, tra inizi bucolici e familiari, e una fine tragica e distruttiva.
Alla fine il fatto che tu mi abbia rivelato quel segreto, per quanto avvelenato, ha rafforzato in me l’impressione di aver fatto la scelta giusta, di esserti necessaria e di esser necessaria a Ludwig. Suppongo che una parte di me sapesse intrinsecamente fin dall’inizio che là non c’entravo niente, che non era il mio posto, che c’ero venuta per le ragioni sbagliate, quindi mi è piaciuto sapere che anche tu avevi qualcosa da nascondere, mi sono sentita tranquillizzata. (p. 182)
C’è un prima e c’è un dopo, e in mezzo c’è un amore che non nasce mai veramente e non finisce, nemmeno di fronte alla tragedia, incapace di accettare il suo epilogo, rassegnato ad una parte secondaria.
C’è anche un destino di estromissione da se stesse, che è tipico di molte donne di fronte all’uomo che amano. È deprecabile, perché significa sconfitta e non accettazione della propria forza, e in questo senso ci restituisce un fraintendimento, rispetto all’amore vero, che è quasi irritante. Helen non capisce chi è, non accetta la propria indipendenza; dopo averla inseguita, crede di doversi ritagliare un posto nella vita di chi non la vuole davvero, di chi la sfrutta; si condanna all’infelicità. Per questo il personaggio ci appare tragico e nello stesso tempo consapevole, ci lascia increduli nel suo costruirsi un legame infruttuoso, nella rinuncia per se stessi di un progetto di stabilità. Nell’incapacità di accettare che qualcuno possa non ambire all’amore, limitandosi a passeggiare sulla vita degli altri, senza ritegno e senza sofferenza alcuna.
Vorrei che qualcuno potesse vederci adesso, come siamo in quest’istante, una di fronte all’altro in una strada piena di rumore, in una città dove non abbiamo mai vissuto insieme, vorrei che qualcuno fosse qui per giudicarci, darci il verdetto finale. (p. 252)
Profondo, intenso, inconcepibile e vero. Come la devozione nei confronti di chi amiamo, o crediamo di amare e a cui pensiamo di appartenere, come il tradimento di quell’amore, come la vita di alcuni rapporti, a cui dovremmo rinunciare, con coraggio e con fermezza, prima di perderci e distruggere gli altri, e noi stessi.