Fra le cose che conserva più gelosamente, nel primo cassetto di una caotica scrivania a ribaltina in camera da letto, c'è una lettera che scrisse a se stessa quando aveva nove anni. Calligrafia infantile, foglio di quaderno a quadretti, si autoesortava a diventare romanziera: "Cara Lia, per favore non tradirmi quando diventerai grande. Scrivi quelle storie che abbiamo inventato. Sono bellissime, scrivile, scrivile, mi raccomando" (vedi a pagina 52). Ci ha messo un po' di anni, ma ha mantenuto la parola e adesso si gode il successo tardivo. Alle pareti del suo appartamento pieno di luce, affacciato su una delle piazze più celebri di Trastevere, a Roma, dipinti a olio, disegni, ricordi, fotografie. Il quadro più importante è un ritratto in divisa del nonno Alberto Levi, morto in guerra a Caporetto. C'è anche una stampa con le foto minuscole, sembrano francobolli, di tutti i laureati in Giurisprudenza a Roma nell'anno 1928: «Guardi bene: c'è un'unica donna, è mia madre».
Lia Levi è l'autrice più contesa dalle scolaresche, non solo italiane. È da poco tornata da un incontro con gli studenti di San Pietroburgo, cui ha raccontato la sua infanzia «quasi felice, o meglio felice no, agiata finché è stato possibile. Poi diciamo drammatica, però non tragica, se penso ai tanti bambini ebrei mai tornati dai campi di sterminio». Il suo libro Una bambina e basta (edizioni e/o), uscito nel '94, senza volersi indirizzare a un pubblico di ragazzi, è diventato un classico nelle scuole. Sneakers bianche, pantaloni panna, casacca floreale, a quasi 88 anni (li compirà il 9 novembre) è carica di energia e ha ben poco della donna anziana. Tutto quello che scrive lo scrive a mano, su un quaderno, prima in brutta copia e poi in bella su un altro quaderno. (...)
Nei suoi libri lei sembra più attratta dai personaggi femminili.
«Devo dire la verità: li vedo più forti di quelli maschili. Al momento delle leggi razziali e del pericolo, chi ci ha salvato nascondendo me e mia sorella in un convento di suore per 11 mesi è stata mia madre, non mio padre, del tutto inadatto ad affrontare la realtà pratica. Quando la suora ci impose di usare un nome falso, di imparare le preghiere cattoliche, di non dire mai a nessuno che eravamo ebree, io ero tramortita. Quando alla fine ha detto: "E adesso salutate vostra madre", ho pensato che non ce l'avrei fatta. E invece è andata».
Lei è sempre molto misurata, non indulge.
«Ci mancherebbe altro».
Si è definita madre di due figli e nonna terrorizzata di sei nipoti. Perché terrorizzata?
«Tre miei nipoti sono all'università. Una, quella che studia Medicina, sta facendo volontariato in Africa, ma tre sono ancora molto piccoli e io non ce la faccio a stargli dietro, non sono più all'altezza neanche di prenderli in braccio».
Lei è molto ascoltata dai ragazzi quando va a parlare nelle scuole, come lo spiega?
«Bisogna fare una distinzione fra bambini e giovani. Mettersi in contatto con i bambini è molto più semplice, io scrivo favole per loro quindi so farlo. Gli adolescenti, invece, non ti stanno a sentire. In questo senso mi ha molto aiutato aver vinto, l'anno scorso, il premio Strega Giovani con Questa sera è già domani. La vicenda di un sedicenne maltrattato dalla madre che salva l'intera famiglia, vivendo un doppio riscatto, si presta all'identificazione».
Giudicando dai giovani che lei incontra nelle scuole, come sta cambiando l'Italia?
«Non vorrei sembrare troppo ottimista o troppo buonista, ma mi sembrano migliori che in passato. Certo, i ragazzi che incontro io non rappresentano la totalità e dietro di loro c'è sempre la passione di un insegnante. Se lasciati a se stessi, invece, gli adolescenti hanno un pensiero frammentario e l'uso che fanno dei telefonini è molto preoccupante».
Pensa che esista uno spirito di iniziativa più forte fra le ragazze?
Hanno una marcia in più? «Una marcia in più direi di no: alla passione, sia le ragazze che i ragazzi, aggiungono quell'incoscienza giovanile che per le grandi battaglie è indispensabile. Le donne, però, devono combattere fin dall'inizio contro le discriminazioni, sentono di più l'ingiustizia, sono più allenate, tutto quello che hanno se lo devono conquistare. La mia ammirazione, in questo momento, va alla ministra Teresa Bellanova, che ha detto: "Non ho bisogno di aiuto, mi difendo da sola"».