Confesso che mi ero procurato il romanzo di Caterina Emili, “La scimmia e il caporale”, con parecchia titubanza, imbarazzato da una copertina a tinte sgargianti, stonate, e del resto nulla mi diceva il nome dell’autrice, di cui, come sempre più mi capita in queste mie scorribande a ruota libera, nulla avevo letto in precedenza. E invece, con sorpresa, ho constatato, procedendo nella lettura, che l’opera “tiene”, in fondo non ce ne sono poi tante che vanno a frugare in un episodio infame qual è il caporalato, lo sfruttamento della mano d’opera di immigrati spietatamente trattati, con le donne costrette a cedere alla concupiscenza proprio dei “caporali”. Però può succedere anche che uno di questi, e tra i peggiori, tale Giuseppe, concepisca una passione violenta per una di queste povere vittime, la rumena Katarina, però misteriosamente scomparsa nel nulla. Ritornata al suo Paese, o vittima di un qualche truce delitto? E il nostro “caporale” è innocente in proposito, o il desiderio di mandare qualcuno, o di farsi accompagnare in quel Paese per tentare di recuperarla è solo l’abile mossa per allontanare da sé il sospetto di averla uccisa per vendetta, quando la povera giovane aveva preteso di sottrarsi a quel violento legame erotico? Nella vicenda, che scorre rapida ed essenziale, c’è pure il Tiresia del caso, il bravo testimone che parla in prima persona, anche perché in possesso di una certa cultura, quasi da intellettuale. E infatti il miserabile “caporale” tenta invano di farsene un complice nel tentativo di andare a ritrovare la scomparsa. Un aspetto riuscito del racconto sono i vari segnali di una violenza bestiale gravante sulla vicenda, che trova espressione nella carne di cavallo, cibo brutale, odiato dal narratore, eppure incalzante, con le sue masse sanguigne. Un altro elemento di minaccia e di pericolo viene dalla scimmia sbandierata nel titolo, un animaletto che in un paesino di quell’Italietta, sospesa tra gli orrori della repressione nazista e un rilancio economico, ma attuato in modi selvaggi, era divenuta l’amuleto di un sottufficiale tedesco. La sua scomparsa nel nulla aveva scatenato le ire funeste del soldato, non indenne dalla ferocia che le truppe d’oltralpe avevano manifestato in quel momento storico sulla nostra popolazione. Circolano insomma nella vicenda tanti segnali, sintomi, indizi di una violenza sospesa nell’aria, che si concentrano infine nel ritrovamento della salma della povera Katerina. E anche in questo caso abbiamo un orrido ma affascinante concerto di dati ossessivi, ripugnanti, ma anche carichi di un crudele potere attrattivo. il cadavere viene trovato in stato di avanzata putrefazione, quasi rientrato nella terra che ne ha riempito ogni cavità, quasi assorbendolo. Però qualcuno si è recato a rendere a quella salma un omaggio tardivo, tentando di ricomporla, e soprattutto di renderle un estremo tributo collocando un fiore sopra il cadavere. La vicenda infila a questo punto una trama degna di un “giallo”, ma ben lontano da quelle ben lubrificate e in genere inverosimili storie dei nostri giallisti più reputati. Anche per questo verso la vicenda ha una sua freschezza, e in definitiva cela un segreto che conviene rispettare, e neppure tentare di risolverlo. Chi ha ucciso la povera giovane, è stato il violento “caporale” che non le ha perdonato l’abbandono, oppure la gelosia di una compagna di lui, ugualmente aggressiva, pronta alla vendetta? E come si spiega l’omaggio floreale tardivo? Il quale però, con i suoi candidi petali, non vale certo a compensare tutti i connotati di violenza, di brutalità insiti non solo tra gli uomini ma anche negli animali e nella terra. Come dire che in questo breve racconto tutto circola, tutto si corrisponde, in una sapiente tessitura di odori, colori, sapori.