I nostri padri è un romanzo torrenziale, poderoso, una notevole macchina narrativa con un plot convincente e personaggi, a partire dal protagonista, il capitano Beeslaar, che non si dimenticano. È un noir, ma e anche un romanzo storico e un'illumìnante lezione sull'odierno Sudafrica. Nonché l'ennesima dimostrazione che il noir è un genere senza confini, eccellente strumento per affrontare e decifrare la complessa realtà contemporanea.
Albertus Markuss Beeslaar, capitano di polizia, ha un serio problema: è ancora convinto che si possa e si debba porre rimedio aUe ingiustizie del mondo, e che tocchi proprio a quelli come a lui farlo. E da questa indomabile ansia morale che discende la sua allergia agli arroganti, superiori inclusi. E siccome Beeslar è un animale di due metri in perfetta forma fisica, gli scontri che lo vedono protagonista non sono quasi mai esclusivamente dialettici. Si capisce facilmente, dunque, come mai, nonostante sia uno sbirro coi fiocchi, in luogo di una brillante carriera gli sia toccata la deportazione in una polverosa landa desertica. Poco male. A parte che di ingiustizie a cui porre rimedio il mondo abbonda, Beeslaar ne approfitta per prendersi una licenza e andare a trovare, finalmente, il suo antico maestro Blikkies. L'uomo che gli ha insegnato le cose fondamentali della vita. Per esempio: che se cerchi la perfezione, meglio gettare la spugna. La vita è dura, ingiusta. C'è un solo modo per stare a questo mondo: fare i conti con la realtà, accettare le cose come vengono, compresi i cambiamenti «Bisognava allenarsi sul modello del karate: schivare le botte, pronti e scattanti, rotolare assieme ai colpi. Senza sprecare energia per cose come autocommiserazione, scontento. invidia...
Ma quando finalmente arriva a Stellenbosch, il colonnello è appena morto. E come se non bastasse qualcuno sceglie proprio quel momento per introdursi nella villa del ricco signor Du Toit e massacrarne la bella moglie. Quando i familiari della vittima gli chiedono di indagare per loro conto, Beeslar cerca di sottrarsi. Lui è solo uno straniero di passaggio. non ha poteri, né competenze. E in realtà l'unico motivo per il quale i Du Toil lo vogliono al loro fianco è che Beeslaar è un boero bianco, e invece la polizia del posto è diretta dal capitano Qhubeka. Donna. Giovane. Nera. Siamo in Sudafrica. dopo tutto. Perché anche se l'apartheid è ufficialmente cessato da oltre un quarto di secolo, i bianchi di Stellenbosch non si fidano dei neri, che considerano usurpatori della loro terra. A vincere le resistenze di Beeslaar, comunque, provvederà la stessa Qhubeka. Perché anche se l'apartheid è ufficialmente cessato da oltre un quarto di secolo, i neri di Stellenbosch non si fidano dei bianchi, che considerano ladri della loro terra. L'autrice risponde al nome di Karin Brynard, e prima de I nostri padri aveva già pubblicato, con grande successo, Terra di sangue, avventura d'esordio di Beeslaar. Brynard nasce giornalista politica ed è abbastanza matura per aver provato l'entusiasmo della liberazione di Mandela e dell'avvento della democrazia e la disillusione degli anni successivi. Ci racconta un Sudafrica lacerato di ferite mai sanate e contraddizioni roventi, un Paese non riconciliato, popolato da figli che non riescono a liberarsi dall'eredità ingombrante dei padri e dei loro errori, da etnie che sembrano forzate a convivere in una sorta di apartheid "percepito", da bande che si contendono strade di allucinante violenza. E, per fortuna, anche da donne e uomini di buona volontà che, bianchi, neri o meticci non conta, si dannano l'anima per evitare che tutto finisca in un bagno di sangue.