«L'oceano si infilava dappertutto, la sua lingua trascinava con sé tutto ciò che poteva strappare, lacerare e portarsi via (...). Tanta acqua da far pensare che si trovassero in mezzo al mare, e in effetti era diventato un mare, con rare isole che emergevano qua e là dove prima c'era il mondo».
Dopo l'onda della scrittrice francese Sandrine Collette, appena uscito in Italia per e/o, narra con ritmo avvincente e passaggi di riuscita tenerezza la lotta per la vita di una famiglia di 11 persone, le uniche superstiti di uno tsunami provocato dal cambiamento climatico. «Nel romanzo - dice l'autrice a La Lettura - agiscono due forze: quella della natura e quella dell'amore di questa famiglia in ostaggio dell'oceano. Ho provato a immaginare la strategia di ciascuno per sopravvivere, che cosa accade si viene a mancare ciò a cui siamo abituati, a partire dal cibo e dall'acqua potabile».
Si arricchisce dunque il catalogo della cosiddetta climate-change fiction, narrativa del cambiamento climatico, che gli americani abbreviano in cli-fi. Quasi un filone letterario ormai - pur nella differenza dei generi e delle intenzioni dei singoli autori (alcuni si possono considerare attivisti, altri semplicemente attingono per le loro storie a quanto accade nel mondo). Tanto che si è già aperto un dibattito, specie tra scrittori e studiosi anglosassoni, su quale sia la migliore forma per occuparsi, in letteratura, di un tema ritenuto difficile, angosciante, eppure urgente. (...)