A SANDRINE COLLETTE NON MANCANO CERTO I TITOLI PER DEFINIRSI UNA SECCHIONA. HA STUDIATO FILOSOFIA, SCIENZE POLITICHE E LETTERATURA. INSEGNA ALL’UNIVERSITÀ DI PARIGI-NANTERRE. EPPURE, PROPRIO QUEST’ANNO, HA VINTO IN FRANCIA IL GRAND PRIX DE LA LITTÉRATURE POLICIÈRE. MA COME, VIENE DA CHIEDERSI? ADESSO ANCHE I TOPI DI BIBLIOTECA SI METTONO A DARE LEZIONI DI LETTERATURA? COSTRUISCONO ROMANZI, COME “DES NŒUDS D’ACIER” ANCORA INEDITO IN ITALIA, CAPACI DI CONQUISTARE UNA DELLE GIURIE PIÙ RAFFINATE E COMPETENTI? LA RISPOSTA È: SÌ. SI PUÒ ESSERE DOCENTI UNIVERSITARI E RAFFINATI NARRATORI. ANZI, DI PIÙ: SCRITTORI A TUTTO TONDO, CON UNA FORZA DIROMPENTE NEL RACCONTARE STORIE FORTI, PERTURBANTI.
Un primo assaggio del talento di Sandrine Collette, 49 anni, proprietaria di un allevamento di cavalli nella zona del massiccio del Morvan, in Francia, i lettori italiani lo avevano potuto gustare tre anni fa. Quando le Edizioni e/o avevano proposto il suo romanzo “Resta la polvere” nella traduzione di Alberto Bracci Testasecca. Ma adesso, tutta la forza dirompente di immaginare storie che non concedano nemmeno un attimo di tregua nell’incalzare degli eventi, così tipico nello stile narrativo della scrittrice nata a Parigi, si concentra in uno dei libri più sconvolgenti e belli usciti in questa prima parte dell’annata editoriale 2019. Si intitola “Dopo l’onda”, lo pubblicano sempre le Edizioni e/o (pagg. 283, euro 18), nell’ottima traduzione di Alberto Bracci Testasecca.
È un mondo sconvolto dall’impensabile quello che Sandrine Collette sceglie come palcoscenico del suo romanzo. E sì, perché sei giorni prima che cominci la storia, un vulcano è esploso e collassato dentro l’oceano. Alzando un’onda di proporzioni mai viste prima. Le principali città sono finite sotto acqua, e il livello del mare continua a salire inesorabile. Sul mare galleggiano corpi senza vita, detriti di tutti i tipi, relitti di case sbocconcellate dalla furia dell’oceano, alberi sradicati, carcasse di animali. Sembra che la vita si sia arresa alla furia incontenibile della Natura. E che non abbia più la forza per difendersi.
Qua e là, nel deserto d’acqua, già immaginato dallo scrittore britannico James G. Ballard nel suo visionario, profetico e geniale romanzo “Il mondo sommerso”, spuntano fragili isolette disperse nella corrente. Zattere di terra alla deriva in un gigantesco scenario liquido. Illusorie oasi di salvezza, destinate presto ad arrendersi alle tempeste oceaniche, che spingono ogni giorno un po’ più in alto il livello delle maree.
A uno di questi fragili isolotti sono rimasti ancorati Pata, sua moglie Madie, il ragazzino Louie, ancora sotto shock per avere visto arrivare l’immensa onda, e i suoi otto fratelli e sorelle di diverse età. Tra la casa e il pezzo di terreno che emerge dalle acque hanno ancora galline, un po’ di verdure da centellinare per i pasti. E quando vogliono cambiare menu, devono solo mettere il gommone in mare e raggiungere un’altra di quelle schegge di terra rimaste sopra il livello dell’oceano. Dove faranno incetta di patate, da mangiare la sera standosene al calduccio. Mentre fuori il cielo continua a riempirsi di nuvoloni pronti a scaricare pioggia, che aumenterà ancora il livello del mare.
Pata e Madie devono prendere una decisione. Non possono starsene lì ad aspettare che una morte liquida bussi alla loro porta. È necessario partire, puntare verso l’orizzonte lontanissimo. Dove dovrebbero esserci le montagne. Lì, di sicuro, tutte le persone sopravvissute si saranno riorganizzate in un contesto sociale simile a quello che esisteva prima dell’arrivo dell’onda. Con case, scuole, negozi, bar per bere un bicchiere in compagnia. Provando a fare finta che non sia successo niente.
Ma come si può caricare tutti e nove i figli su una barchetta che ne può contenere al massimo cinque? I due genitori finiscono per scannarsi attorno a quel dilemma. E mentre Madie cova un rancore sordo nei confronti di Pata, tocca a lui prendere la decisione più drammatica: prima che gli altri si sveglino, come nelle favole che riempiono gli incubi di tutti i bambini, metteranno la barca in mare e se ne andranno. Lasciando sull’isola i tre figli più sfortunati: Louie, a cui non funziona bene una gamba, Perrine che è cieca da un occhio, e Noè, il bambino che non cresce mai.
Ma può davvero un genitore scegliere chi salvare e chi condannare alla morte? O sarebbe più giusto affrontare la fine tutti insieme, per non fare preferenze?
Comincia da lì, da quel momento che nessun genitore vorrebbe mai trovarsi a vivere, il doppio binario narrativo di “Dopo l’onda”. Perché se da una parte la famiglia deve affrontare una navigazione difficile, a tratti drammatica, senza sapere esattamente se al di là dell’oceano esiste una possibilità di salvezza, sull’isola i tre bambini abbandonati devono provare a immaginare un futuro. Ben sapendo che, se resteranno aggrappati alla loro sempre più angusta lingua di terra, saranno destinati a vedersi travolgere dalle acque.
Duro come uno schiaffo in piena faccia, pieno di umanità e di pensieri su quanto la vita possa essere magnifica e crudele al tempo stesso, “Dopo l’onda” è la via narrativa più tenebrosa e geniale per immaginare che cosa succederà alla nostra Terra se continueremo a violentarla. Ma Sandrine Collette non si accontenta di costruire un congegno narrativo perfetto, dove la tensione non cala mai, niente è prevedibile, niente è scontato, e soprattutto non aleggia mai l’illusione di un “arrivano i nostri” che risolverà ogni problema. Di un finale consolatorio, perché si usa così.
No, Sandrine Collette tira dritta per la sua strada. E mentre costringe i suoi personaggi a lottare contro un nemico ignoto, che muta forma pagina dopo pagina, creando una serie di situazioni di crisi paurose e imprevedibili, non smette di interrogarsi, e di interrogare i lettori, su quante briciole di umanità sopravviverebbero dentro ognuno di noi se arrivasse davvero un’onda gigante a travolgere la nostra dorata quotidianità. Se ci trovassimo a dover lottare per sopravvivere. Costretti a cancellare in un lampo amore, amicizia, tenerezza, affetto paterno e materno. Protezione per chi è più debole. Per chi non ce la farebbe ad andare avanti senza il nostro aiuto.