Questo intenso libro di Yishai Sarid (“Il mostro della memoria”, edizioni e/o, pp. 135, 15€) tocca un tema delicato e importante, l’uso politico ma anche sociale e popolare della memoria storica. Riguarda Israele e la Shoah, ma offre uno sguardo che va oltre la specifica vicenda della distruzione degli ebrei in Europa. L’io narrante del libro è un mancato diplomatico, storico di formazione, che si ritrova a fare da guida ai campi di sterminio nazisti in Polonia: Auschwitz, Sobibor, Treblinka… Inizialmente questa professione è un ripiego, poi il protagonista diventa uno specialista. Conosce in profondità la storia di ogni singolo lager, è un istruttore perfetto per le scolaresche che da Israele sono inviate a conoscere quei luoghi.
“Il mostro della memoria” è un libro prezioso perché Sarid osa affrontare aspetti taciuti e scomodi delle politiche della memoria. In un crescendo di dubbi e di sofferenza, la guida pone le domande più difficili ai suoi interlocutori, fra una visita a un crematorio e il racconto di come i prigionieri venivano divisi al momento dell’arrivo: di qua i destinati all’annientamento immediato, di là i pochi da stroncare attraverso il lavoro.
“Guardatevi”, dice a un gruppo di ragazzi, “e guardate i vostri compagni, cosa siete? Pezzi di carne. Avete mai cucinato una bistecca? Qui è stata cancellata l’illusione chiamata uomo”. E ancora domanda: che avreste fatto voi di fronte alla possibilità di allungarvi la vita entrando in un sommerkommando, formato da prigionieri addetti a ripulire le camere a gas dai cadaveri e avviarli ai forni? E sapevate che in un campo come Treblinka il personale addetto allo sterminio contava non più di trenta tedeschi, oltre a 150 ucraini e 600 ebrei?
Difficile assolversi con certezza. Difficile emettere sentenze senza appello su chi ha dovuto affrontare dilemmi di vita o di morte. Difficile affrontare la memoria con animo tranquillo, al fine di rassicurarsi nelle proprie convinzioni. A un certo punto un gruppo di ragazzi è interpellato su qual è l’insegnamento tratto dalle visite nei lager e un ragazzo dice la sua verità: per cavarsela, risponde, bisogna essere un po’ nazisti, perché è tutta questione di rapporti di forza e non si può evitare il rischio di uccidere innocenti (il riferimento è alla Israele di oggi e al nemico terrorista, chiaramente palestinese).
La domanda che Sarid ci invita ad affrontare è solo in apparenza ovvia e quindi richiede risposte impegnative: che cos’è e a che cosa serve la memoria? In una scena del romanzo, la nostra guida è chiamata a fare da guida a un ministro israeliano, che arriva trafelato nel lager, ascolta distrattamente le informazioni storiche e punta subito alla photo-opportunity gestita dal suo ufficio stampa. E’ quello che gli interessa: esibire la sua adesione alla memoria storica, omaggiare le vittime della Shoah ma senza perdere troppo tempo.
La politica delle memoria è spesso (forse soprattutto?) anche questo, in Israele e altrove: un’occasione formale e retorica di omaggio a un passato tragico o glorioso, a seconda dei casi; una conferma e un accreditamento tanto ovvio quanto superficiale.
“Il mostro della memoria” è un invito a ripensare la relazione che abbiamo con le glorie e le tragedie del nostro passato, un ripensamento che può essere doloroso e sgradevole. Forse deve essere doloroso e sgradevole, perché una traccia degli orrori del ‘900 è rimasta dentro di noi, inquina il nostro senso comune, quando – addirittura – non è materia di revanscismi e revisionismi, al servizio delle moderne politiche di odio e di sopraffazione.
“Il mostro della memoria” è un libro da leggere pensando (anche) alla nostra Resistenza, alle stragi e ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, al nostro calendario civile, a ciò che intendiamo per antifascismo. Al mostro delle memoria che attende d’essere affrontato ed esplorato in tutti i suoi risvolti.