Fotografo, scrittore, instagrammer, Maurizio Fiorino ha appena scritto il suo terzo libro. Ora che sono Nato (edizioni e/o). Una storia dolce e amara, che paria di un ragazzo del sud, della sua nascita. E della sua rinascita.
Perché questo libro (perché oggi)?
«Per scriverlo ho affrontato tre anni d1 psicoterapia e quando l'analista mi ha "dimesso" potevo o normalizzarmi o complicarmi di nuovo la vita. Ho scelto la via maestra, la seconda».
Quanto c'è di Maurizio in Nato?
«Per descrivere la potenza di un tuono la mia mente è tornata alla mia ultima storia, finita lo scorso luglio. In questo romanzo ho deciso di mostrare ogni singola cicatrice. Sembrerò Freddy Krueger, ma sono libero».
Non fosse Nato a sud, Il protagonista come sarebbe stato?
«Gli sarebbe mancato un certo stupore. Ricordo la prima volta in cui ho visto una bimba di carnagione bianchissima, coi capelli biondi. Ero a mare coi miei amici, tutti scuri, abbronzati già a giugno: sembrò una visione. Poi, tutto il mondo è paese, soprattutto quando si parla di famiglia. Penso a Philip Roth che a un certo punto de Il lamento di Portnoy paragona le donne jewish a quelle della mia Calabria».
A chi piacerà? A chi dispiacerà?
«Piacerà ai sognatori, a chi ha la forza di resistere, a chi ha deciso di non agitarsi troppo per liberarsi dalle catene: basta prendere la chiave e aprire il lucchetto. Dispiacerà a chi non ha capito che essere diversi è una grazia del cielo».
Libri, foto, Instagram stories: dove nasce quest'urgenza di raccontare?
«Dalla difficoltà di esprimermi che avevo da piccolo, complici le maestre che pensavano fossi pigro. In classe stavo tutto il tempo con gli occhi al soffitto e sognavo quello che racconto oggi. A volte penso di essere ancora lì».