L'assassino è stato catturato, è colpevole dello sterminio di una famiglia: un padre, una madre, due figli. Alla carneficina è scampato un terzo figlio che chiede al giornalista che ha seguito la vicenda di accompagnarlo al processo.
Il massacro è avvenuto in un piccolo paese italiano, quasi invisibile sulle carte, e l’analogia col caso della famiglia Clutter, scrupolosamente raccontato mezzo secolo fa da Truman Capote in A sangue freddo, salta subito agli occhi. Il figlio sopravvissuto è allevatore di polli, come lo era suo padre, e vive nella casa accanto. Il processo dell'assassino, un nomade slavo, si svolge in Serbia e il superstite ci andrà. Ed è come se due lembi di una ferita si accostassero per sanarsi a vicenda, per salvarsi. Non c’è alcuno psicologismo in questo libro scritto con un passato prossimo romanzesco: siamo irrimediabilmente nelle zone del mito, della favola primaria, nera e archetipica.
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