Cosa fareste se la vostra famiglia venisse interamente sterminata? Cosa fareste se vostra madre, vostro padre, vostro fratello e vostra sorella fossero trucidati e non lasciassero altro che una casa...
Cosa fareste se la vostra famiglia venisse interamente sterminata? Cosa fareste se vostra madre, vostro padre, vostro fratello e vostra sorella fossero trucidati e non lasciassero altro che una casa devastata dal sangue e un vuoto che è buchi di proiettile sui muri, parquet rovinato, polli da nutrire, un assassino che scappa? Francamente io non lo so, che cosa farei. Ma non ha importanza. Ha importanza, invece, che questa domanda si faccia pressante e fondamentale nel lettore che sceglie di leggere l’ultimo romanzo di Massimiliano Governi, “Il superstite”, appena pubblicato da E/O (pp. 144, euro 14). Esordiente nel 1995 con “Il calciatore” (Baldini e Castoldi, adesso E/O).
Adesso il passo è successivo, perché correndo sulla traccia di “A sangue freddo” di Capote, Governi racconta la miseria di un uomo che s’annida nei dettagli: un maglione rosso il giorno dell’udienza in tribunale davanti allo slavo nomade colpevole d’aver sterminato la sua famiglia, delle mani che battono sul parabrezza quando va a trovare la moglie negli Stati Uniti, il ciclo di crescita dei polli che ha una triste assonanza con l’evoluzione di tutti noi. E per un’altra altrettanto strana assonanza, leggendo questo libro ho pensato spesso a una frase di Alda Merini, ripescata da chissà dove: «Mi nacque un’ossessione. E l’ossessione diventò poesia». Questa frase, che trasforma l’ossessione in parole e le parole in ritmo e il ritmo in poesia è forse la sintesi di questo romanzo bellissimo, punteggiato da parole sapientemente scelte. Un romanzo che conferma Governi come un autore integerrimo, contemporaneo cantore di storie di dolore e di disperazione. —