Massimiliano Governi è comparso nel panorama italiano con Il calciatore nel 1995 e l'anno dopo un suo racconto è stato incluso nell'antologia Gioventù cannibale pubblicata da Einaudi Stile Libero; da allora ha pubblicato romanzi e racconti confermando ogni volta uno stile perfetto, feroce e nitido, tessendo un'unica narrazione delle incarnazioni possibili della crudeltà umana. Il superstite, uscito per la casa editrice e/ o, dice come, nostro malgrado e in apparenza senza accorgercene, a quella crudeltà noi sopravviviamo, e dentro l'orrore che altri trovano invivibile noi invece viviamo. In un paese della provincia italiana viene sterminata una famiglia composta da madre, padre, figlio, figlia, il terzogenito soltanto si salva, è sposato da poco, vive nella casa accanto a quella del delitto. Gli assassini vengono ritrovati due mesi dopo nella Serbia centrale, sono due nomadi, uno dei quali si suicida durante il conflitto a fuoco con la polizia. Il superstite è allora la persona che racconta questa storia, il figlio miracolato dall'esistenza ormai amputata, ma forse anche l'altro, l'omicida, chiamato sempre "lo slavo". Entrambi sono sopravvissuti, e il fatto che uno sia colpevole della distruzione dell'altro li lega senza scampo. Il breve romanzo di Governi è un corridoio di specchi lungo il quale chi narra si vede riflesso nello sguardo degli altri, non sappiamo che aspetto abbia il narratore ma sappiamo che somiglia a un giornalista, l'unico ad aver detto qualcosa di sensato, di utile nei giorni successivi al massacro: non legga i giornali per un mese, per sei mesi, non li legga mai, aveva raccomandato. E poi aveva scritto un articolo accurato, pieno di dettagli, un articolo da scrittore, descrivendo il volto del superstite come un volto malinconico. "Malinconia", in questa storia, è una parola chiave, l'unica da cui venga una luce: "Sarei potuto uscire distrutto da quella vicenda, ma la mia malinconia mi avrebbe forse salvato". Nell'articolo del giornalista compariva anche il riferimento al libro di Truman Capote, A sangue freddo. Il protagonista non lo aveva mai sentito nominare ma lo memorizza, colpito dalle coincidenze e dalle sovrapposizioni con ciò che è avvenuto alla sua famiglia, quindi lo compra, lo sfoglia, ma non lo legge, lo lascia sul tavolo del salone in mezzo a fogli e disegni della figlia bambina. Così la scrittura di Massimiliano Governi affronta il nume tutelare di tutta la non fiction che si rifà a casi di cronaca (ma Il superstite non è non fiction: "Tutto sembrava vero e falso allo stesso tempo. Ma forse è così che si scrivono i libri. Forse è così che accade la realtà").
E poi un giorno il superstite decide di bruciare A sangue freddo, insieme agli articoli sullo sterminio che ha conservato, perché l'unico modo per omaggiare un classico è accenderlo, disintegrarlo e liberarsene. L'unico scrittore credibile è uno scrittore che arde, dice Governi, mentre l'unico dio possibile è un Cristo di carta, fatto con i fogli di giornale e attaccato alla croce in giardino che commemora la strage. Già, perché il superstite è andato a vivere nella casa del delitto, da solo, mentre moglie e figlia si sono trasferite in America, in quell'Arkansas dove si svolge la vicenda narrata da Capote. Lui non le raggiungerà mai. Attraverso Skype vede la figlia diventare ragazza e poi donna, somigliargli, lavorare da McDonald's e fidanzarsi, ma non può più partecipare alla vita, solo guardarla scorrere dietro un monitor. Non c'è redenzione, non c'è riscatto: ci sono, nude e qui interpretate, la vita e la letteratura.