Approfittatene, cari sfaccendati, approfittate dei pesci pagliaccio, dei cocktail con l’ombrellino e la fettina d’arancia, approfittate dei tramonti prima che venga decretato lo stato d’assedio.
Dopo aver letto Mai dimenticare, ho fatto scorta dei romanzi di Michel Bussi. Perché lo scrittore francese (è di Louviers, Alta Normandia) ha una capacità incredibile di avvolgerti subito con le sue trame e quindi sei costretto a non lasciare neppure per un attimo il libro che stai leggendo (non per nulla vende un milione di copie ogni anno). Questo secondo volume lo conferma. Non li leggo in ordine cronologico, altrimenti avrei dovuto cominciare da Ninfee nere, perché ogni storia è a sé stante.
Con questa vicenda Bussi ci porta in un resort dell’Île de la Réunion, durante la settimana di Pasqua, affollato di francesi benestanti. Un pomeriggio scompare dall’albergo Liane Bellion in vacanza con il marito Martial e la figlioletta Sofa. La sua stanza presenta schizzi di sangue ovunque. Martial ne denuncia la scomparsa e le indagini vengono affidate alla comandante della brigata di gendarmeria, Aja Purvi, coadiuvata dal sottotenente Christos Konstantinov, un cinquantenne buon conoscitore dell’isola e abile investigatore, nonostante la fama di essere gran bevitore e fumatore di marijuana.
Le cose hanno sempre un buon motivo per trovarsi dove si trovano. Le cose e le persone.
Presto però è Martial a essere incriminato per la scomparsa della moglie (si cerca invano il cadavere) perché testimoni dell’hotel lo hanno visto spingere un carrello portabagagli fino al parcheggio e caricare qualcosa sull’auto. Allora l’uomo decide di sparire a sua volta con la bambina e di indagare per conto suo. Ma che omicidio è se non c’è un cadavere? E le testimonianze del personale del resort sono credibili? Cosa nasconde Martial Bellion? Ora per tutta l’isola inizia una gigantesca caccia all’uomo.
Guarda la brezza gonfiare piano le vele delle barche ormeggiate e il sole cuocere il porto. Paradiso. La felicità trecentosessantacinque giorni l’anno.
Michel Bussi ci porta a scoprire quei luoghi da paradiso terrestre, con particolari così dettagliati che alla Réunion pare di esserci o di esserci stati. Un vulcano di più di duemila metri circondato da deserti di cenere, foreste tropicali e barriere coralline.
Martial fugge portandosi dietro la sempre meno convinta Sofa, anzi la bambina comincia a sospettare del padre. Intanto compare qualche cadavere, ma non quello di Liane.
Su quell’isola cadere da una parte o dall’altra della cresta dipende sempre dal caso. Nascere sopravento o sottovento.
Quello che piace del romanzo di Bussi, dando per scontato che il plot è formidabile, sono le osservazioni, sociologiche se vogliamo, di cui dissemina il contesto come la seguente, che lo trasformano in qualcosa di più di un semplice thriller:
…due sono i fili che nella globalizzazione tengono gli abitanti della Réunion come burattini, uno per tasca: la fiaschetta e il cellulare.
Poi la storia ha risvolti che riguardano la multietnicità del luogo tra cafri, zoreil, zarabe, creoli mentre i francesi le cui ricchezze risalgono all’epoca della colonizzazione sono definiti gros blanc.
Troppo giovane, troppo donna, troppo creola. Triplo handicap. Domattina glielo faranno capire.
Dopo diversi capovolgimenti la vicenda di Liane, Martial e Sofa giunge finalmente alla conclusione non senza l’ennesima sorpresa, per spiegare la quale bisognerebbe avere in mente tutta la trama. E qui non è il caso di spoilerare.
Di colpo la folla si agita. Quattro agenti, senza tanti riguardi, spostano i curiosi a forza di braccia per liberare un corridoio di un metro. Spuntano le macchine fotografiche. Le dita sono pronte allo scatto.