Massimiliano Governi è nato a Roma nel 1962 e a Roma vive. Dopo aver svolto diverse attività nel campo dell’editoria e della sceneggiatura televisiva, nel 1995 ha esordito come scrittore con il romanzo Il calciatore. Sono seguiti altri romanzi, racconti e a giugno di quest’anno è comparso Il Superstite per conto della casa editrice E/O di Roma. Anche in questo romanzo il Governi sorprende soprattutto per la sua maniera di scrivere ché estremamente limitata è sempre, ridotta all’essenziale, al minimo anche se niente trascura della vicenda rappresentata, tutto coglie compreso quello che non c’è, non si vede poiché fa parte dei pensieri, dei sentimenti di chi quella vicenda sta vivendo. In poco, in breve Governi dice tanto, dice tutto: è un modo particolare di essere scrittore, è il suo modo. Non si concede a lunghi periodi, ad ampie spiegazioni, le considera superflue, le riduce a poche parole. E’ una scrittura non facile da ottenere, una scrittura che coinvolge il lettore dal momento che lo tiene sempre sospeso, sempre in attesa di quant’altro una sola parola può aggiungere, può togliere, può far sapere circa ciò che sta avvenendo.
Nel romanzo Il Superstite si arriverà alla fine senza che mai si finisca di meravigliarsi, di stupirsi.
Il povero protagonista, figlio di un allevatore di polli italiano ed anche lui impegnato nell’azienda di famiglia, anche lui abitante in periferia vicino alla casa del padre e ai capannoni dell’azienda, una mattina scopre che il padre e la madre, insieme al fratello e alla sorella più piccoli che stavano con loro, sono stati uccisi durante la notte probabilmente da chi, entrato in casa con l’intenzione di fare una rapina, non aveva trovato alcunché di prezioso del quale impadronirsi e si era rifatto uccidendo.
La polizia scoprirà che è stato uno slavo, un serbo per la precisione. Il processo si terrà nei territori della ex-Jugoslavia dove il figlio rimasto si recherà per assistere lasciando sole la moglie e la piccola figlia e facendosi accompagnare dal giornalista italiano delle sue parti che per primo aveva dato notizia dell’accaduto.
Comincerà da qui quella lunga, lunghissima, interminabile sequenza di pensieri, timori, paure, presentimenti, sospetti, dubbi, visioni, incubi che lo scrittore ridurrà al minimo di una parola, di un accenno ma che devasteranno in continuazione, senza sosta l’animo di quel figlio diventato l’unico erede di una situazione così grave, “il superstite”. Non ci sarà pace per lui, la figura dello slavo assassino che può ancora colpire per vendicarsi lo perseguiterà, lo tormenterà, i pericoli che da quell’uomo, dai suoi collegamenti con la malavita, dalla sua crudeltà, possono derivare, diventeranno il suo pensiero dominante, la moglie e la figlia, anch’esse spaventate da simili presagi, lo lasceranno e andranno in America dove troveranno una sistemazione. Lui rimarrà in Italia ad accudire all’azienda di famiglia ma non ci sarà momento, luogo della giornata che non lo vedrà esposto al pensiero del male che può provenirgli da quello slavo anche adesso che è in un carcere serbo, anche quando sarà condannato a morte, anche quando saprà che si è ammalato ed è morto in carcere, che è stato sepolto in un piccolo cimitero. Andrà a trovare la sua tomba ma ancora preso sarà dal dubbio che la persona sepolta possa essere un’altra. L’ossessione è diventata malattia, non finirà più se si pensa che anche alla fine del romanzo, quando di tempo è trascorso tanto da non far più ricordare niente, nella casa del “superstite” si presenterà una giovane donna che dirà di essere la figlia che quello slavo ha avuto con una donna italiana e di voler aiutare a chiudere definitivamente la vicenda di suo padre.
Non si riuscirà a capire quanto ci sia di vero in tale ultimo risvolto del libro e quanto, invece, sia frutto dei terrori del protagonista come del resto è stata tanta parte dell’opera.
Bravo Governi ad immaginare ma scrivere non è solo questo!