Ho fatto una certa fatica ad inquadrare il personaggio, dentro il racconto: non aver letto i precedenti romanzi di Carlo Mazza con protagonista il capitano dei carabinieri Antonio Bosvades (“Lupi di fronte al mare” e “Il cromosoma dell'orchidea”) non aiuta.
E non aiuta nemmeno la scelta fatta dall'autore di non raccontare nulla della sua vita passata, ma di gettare il lettore di fronte al tempo presente, sia per Bosvades e in parte anche per gli altri personaggi.
Personaggi che di questo passato sono ostaggi, e questo è un tratto che li accomuna tutti : l'investigatore Bosvades alle prese coi problemi familiari che hanno vecchie radici; la donna del boss, Zelda, custode di una colpa grave e che per espiarla ha deciso di rovinare la sua via mettendosi assieme ad un criminale.
Infine un faccendiere, Lassandro ex poliziotto cacciato dal corpo per una storia di ricatti ed estorsione: in lui il passato ha lasciato addosso una cicatrice che ora vorrebbe chiudere per sempre. Per riprendersi quanto gli spetta.
Persone che vorrebbero fuggire dal presente, ma che sono costrette a navigare in mezzo alle tenebre, impotenti e incapaci di affrontare il presente.
Nell'illusione che il suo nuovo compagno l'avrebbe guidata nella navigazione tra le tenebre, gli aveva rivelata la propria scellerata impresa, scaldandosi grata al fuoco della sua comprensione..
Ci troviamo a Bari, città che immaginiamo illuminata dal sole e bagnata dal mare ma che in questa storia vediamo ostaggio della criminalità, che ne soffoca l'esistenza e a cui le persone sembrano essersi assoggettati, rimettendo alcun desiderio di libertà.
Il malaffare aveva invaso la città come una silente scia d'acqua che, insinuandosi giorno dopo giorno, nelle falle di una diga, aveva finito per allagare la valle. Bari era divenuta un'estesa zona grigia tra lecito e illecito, governata da una fitta e vischiosa zona d'interessi e connivenze, impenetrabile come una casamatta e alimentata dalla trasmissione da padre in figlio delle professioni più ambite. Nei miei primi anni di attività la mancata risoluzione di un caso mi procurava ansia, ma con il tempo la tensione per i crimini irrisolti si era tramutata in un frustrante senso d'impotenza.
Una criminalità che controlla lo spaccio, la prostituzione e anche l'assegnazione degli alloggi pubblici, che l'amministrazione comunale vorrebbe assegnare anche agli immigrati.
Somali, etiopi, di religione musulmana, cristiano copta ..
Una di queste, Samira, viene rapita mentre sta rientrando a casa, da questo faccendiere che, dismessi panni da poliziotto, ha iniziato a svolgere quei lavori sporchi per i boss, nascondendosi dietro un'attività di facciata.
Perché quel rapimento? E' una vendetta contro Samira, contro la sua gente? Oppure è un messaggio da mandare a qualcuno, in grado di cogliere il senso?
Sono domande che si deve porre il capitano Bosvades, alle prese anche con la riappacificazione con la moglie, che viene incaricato del caso direttamente dal generale Papandrea.
Entrambi, capitano e generale, attendono una promozione e quel caso irrisolto potrebbe causare danni.
Comincia così l'inchiesta sul rapimento, con pochi elementi a supporto ma che il generale Papandrea collega ad un vecchio episodio: nel 1993, Samira era scampata ad un attentato in cui erano morti tutti i componenti della sua famiglia.
Tre attentatori, mai scoperti, lanciarono una molotov nello sgabbiotto del liceo Aristofane: le prime indagini seguirono la pista del delitto politico, indagando i principali esponenti dell'estrema destra locale.
Tocca a Bosvades riaprire quella storia per capire se questa ha attinenze con l'inchiesta di oggi: all'apparenza indolente, ironico quanto basta per far innervosire i superiori, con cui non dimostra un atteggiamento remissivo, il capitano saprà trovare il filo giusto, facendosi aiutare anche da due suoi amici.
Ermanno, un “seduttore” compulsivo capace di sedurre le donne trovando le parole che queste vogliono sentirsi dire.
E Caterina, che ha già fatto diverse inchieste nel mondo degli immigrati a Bari e che sa a chi chiedere.
Alcune cose non mi sono piaciute di questo romanzo: come vengono descritti e presentati alcuni personaggi, inseriti nella storia senza comprenderne bene il ruolo.
Altri invece sono ben disegnati, come l'avido viceparroco del quartiere San Paolo, don Anselmo:
Il sacerdozio era per lui un mestiere, che coniugava la massima noia con il massimo disinteresse. Per un'intera vita aveva inseguito famelico tutto ci che ai suoi occhi poteva apparire come un risarcimento di un grigio destino
Ma questo romanzo ha due grandi pregi: il primo, mostrarci il volto crudele della criminalità che non ha nulla da invidiare alle efferatezze dell'Isis.
E poi il raccontarci di come siano anche le mafie a soffiare sul fuoco dell'intolleranza contro gli immigrati, specie quando questi chiedono qualche diritto: in un epoca ci sono politici che avvelenano l'acqua dei pozzi parlando di immigrati che fanno la pacchia coi nostri soldi, mentre gli italiani fanno la fame, il libro spiega bene chi sono le persne che si arricchiscono col business dei migranti
«I soldi pubblici del sistema di protezione erano tanti e i controlli pochi. Per dire, rubavi sul personale: i dipendenti della tua cooperativa sociale li pagavi tardi e per la metà delle ore lavorate, e pure se per vincere il bando di gara avevi promesso di assumere psicologi, mediatori culturali e consulenti legali, a occuparsi di quelle scimmie ci mettevi i pulitori di cessi. E un'altra bella cresta la facevi sul vitto: agli africani gli mettevi la merda nel piatto, tanto quelli a casa loro mangiano scorpioni in guazzetto, e per ognuno incassavi otto o nove euro al giorno. Moltiplica per un anno e poi per mille immigrati e fatti un po' i conti»
Aiutiamoli a casa loro, anche questo sentiamo ripetere dai nostri rappresentanti a caccia di voti: basterebbe smetterla di rubar loro il futuro, le risorse dei loro paesi e perfino la terra, col fenomeno del land grabbing.
Buona lettura!