Antonio Bosdaves, capitano dei Carabinieri, prossimo alla promozione a maggiore. Lo ritroviamo in un nuovo romanzo di Carlo Mazza (“Naviganti delle tenebre”, Edizioni E/O, maggio 2018, 240 pagine 16 euro) e la domanda nasce spontanea: Bosdaves ci è o ci fa? Gioca ad atteggiarsi a cinico, ma dice di sentirsi affine al popolo portoghese per la malinconia che lo pervade. È un ottimo investigatore, ma conduce le indagini più in nome della giustizia ideale che al servizio dell’Arma Benemerita. Tutti d’accordo, invece, sul fatto che l’ufficiale dell’Arma e comandante della Compagnia barese Carrassi è il primattore di un’ottima serie di gialli a firma dello scrittore ex bancario.
Dire Mazza è dire Bari. Nei suoi thriller è un capoluogo del Sud adriatico pieno di luci e di ombre, dov’è difficile tracciare un confine netto tra il bene e il male. Ed è una città più che mai levantina, capace di abbagliarti col sole ma anche opacizzata da oscurità avvolgenti, quella che fa da sfondo al suo più recente titolo, per i tipi della collana Sabot/age della casa editrice romana.
Nella Bari di Bosdavers, tra il nero e il bianco c’è una gamma intera di sfaccettature, mica solo il grigio. È anche un luogo dove più che altrove vale quello che l’autore fa ripetere ai suoi personaggi:per ogni cosa è vero il contrario.
Uno scrittore, la sua città e un protagonista seriale non poco ricco di contraddizioni, in queste pagine degne di una pellicola noir, del terzo romanzo col capitano, dopo “Lupi di fronte al mare” (Edizioni E/O 2011) e “Il cromosoma dell’orchidea” (E/O 2014).
Narrativa veloce, non priva di rapidi momenti pulp e situazioni forti, spinta da una dinamicità degna del migliore cinema giallo, genere che non solo va tantissimo a genio a Carlo, ma che il nostro Mazza sembra cercare insistentemente.
Conoscendo bene i titoli precedenti, ho sempre colto nei suoi romanzi una cadenza filmica, che l’autore ha confermato, sostenendo in un’intervista di essere tanto cinefilo da cadenzare la sua narrativa alla maniera della sceneggiatura di un film. Associa perfino ai personaggi un interprete in carne ed ossa della cinematografia italiana. Quando scrive di Bosdaves, per dire, immagina in azione un Fabrizio Bentivoglio under 50, alto, secco, a suo modo marziale, ma non troppo. In effetti, l’attore lombardo qualcosa del carabiniere ce l’ha. Lo vedremmo bene nei panni dell’arruffato capitano prossimo maggiore, che pur cercando di sfuggire alle regole finisce sempre per rispettarle e farle rispettare, aspirando a vivere in un mondo più ordinato e “pulito”.
Il caso che Bosdaves dovrà risolvere - una volta tanto con la collaborazione di un collega di cui avrà ragione di fidarsi, il tenente Sallustio – è il rapimento di un’immigrata etiope quarantenne, che gestiva un banco di pescheria nel mercato della città vecchia. La complicazione è che venticinque anni prima, la stessa allora quindicenne Samira era uscita ustionata ma viva e unica superstite dal grave attentato che aveva annientato la sua famiglia. Una molotov era stata lanciata nel capanno degli attrezzi della palestra di un liceo in cui gli esuli etiopi erano ospitati provvisoriamente. Non c’era stato scampo per gli altri componenti del nucleo familiare.
I colpevoli non erano mai stati scoperti, sebbene la videosorveglianza di un vicino istituto di credito avesse consentito di intravedere tre sagome di persone che correvano veloci, una dall’aspetto più esile delle altre due.
Come accaduto in ogni ricorrenza - decennale, ventennale – l’attuale scomparsa induce la stampa a ricordare l’insuccesso degli inquirenti. E per i Carabinieri lo smacco brucia ancora.
Un quarto di secolo prima, l’eccidio nella palestra era stato uno dei soli tre casi irrisolti nell’intera carriera del maggiore Montero, che si era congedato in anticipo dall’Arma. Bosdaves e Sallustio vanno a trovarlo in campagna, dove vive da solo col suo cane. Si mostra freddamente collaborativo e dice di aver buttato via il materiale raccolto durante l’inchiesta. Una chiara bugia, perché con l’aiuto dell’amico giornalista Ermanno e non senza violare un domicilio, il capitano mette le mani sulla cassetta vhs col filmato della banca, quello che inquadra le tre figure che fuggono dal liceo.
C’è da inserire nello scenario anche Lassandro, ex poliziotto cacciato dalla Polizia di Stato dopo una condanna a sei anni per estorsione nel pieno di un’indagine.
È lui che ha rapito Samira. Gli serve come esca. Vuole attrarre l’uomo che gli ha rovinato la vita. Intende divertirsi un giorno o due con lui e poi… a proposito di momenti forti: che dire di una violenza carnale en passant, tanto per approfittare? E di un uomo dato in pasto a un leone? È la personale forma di giustizia di un mammasantissima, Toresedute, capo cosca disabile che mantiene un’amante, una donna sulla quarantina, ancora tonica, molto bella, per niente serena. Zelda ha un passato che la fa soffrire e che inquieterà tutti.