«Vostro Onore, il misero surrogato di atto d’accusa presentato contro di me, privo non solo di intelligenza ma anche di rispetto per la legge, è troppo debole per sostenere il peso immenso della sentenza di ergastolo con applicazione delle relative aggravanti richiesta dal pubblico ministero, e non merita una difesa seria». Inizia così il libro Ritratto dell’atto d’accusa come pornografia giudiziaria che lo scrittore turco Ahmet Altan, 67 anni, ha scritto dalla cella del carcere di Silivri dove è rinchiuso da 17 mesi insieme al fratello Mehmet, alla giornalista Nazli Ilack,74 anni e veterana della stampa turca, e altri quattro reporter. Domani il giudice, cui si rivolge Altan in un dialogo immaginario, emetterà il verdetto. È il primo di una serie contro i rappresentanti della stampa accusati di essere dei gulenisti e aver fatto parte del fallito golpe del 15 luglio 2016. A nulla è valsa la mobilitazione internazionale lanciata in questi mesi per la loro liberazione da Free Turkey Media che comprende tra gli altri Reporters Sans Frontieres, gli italiani di Articolo 21 e l’associazione dei Cento Autori. A nulla è valsa la sentenza della Corte Costituzionale che aveva disposto la scarcerazione degli imputati perché erano stati violati i loro diritti umani. «Nel momento in cui li condanneranno sarà decretata la morte dello stato di diritto in Turchia. Nessuno avrà più alibi» commenta amara Antonella Napoli, coordinatrice di Free Turkey Media. Altan e compagni sono accusati di aver inviato dei «messaggi subliminali» nei giorni precedenti al golpe per favorire la sua riuscita. «A parte qualche mio articolo e un’unica apparizione in tv, l’imputazione di golpismo nei nostri riguardi si basa sulla seguente asserzione: si ritiene che noi conoscessimo gli uomini accusati di conoscere gli uomini accusati di essere a capo del colpo di stato», spiega lapidario lo scrittore nel suo libro.