Il gigante buono: opera prima di Lorcan Roche
Autore: Erminio Fischetti
Testata: Fuori le Mura
Data: 29 marzo 2010
Il primo romanzo del giornalista, lettore universitario e drammaturgo irlandese, Lorcan Roche, viene ora presentato al pubblico italiano per mezzo delle edizioni e/o, che lo pubblicano con il contributo dell’Ireland Literature Exchange. L’autore trae ispirazione dalle proprie esperienze passate per raccontare la storia di Trevor, un giovane irlandese emigrato a New York arrabbiato, infelice e solo, che viene assunto da un facoltoso giudice come badante del figlio diciottenne malato di distrofia muscolare. Da questo contatto, la vita del protagonista, e con essa i suoi pensieri e le sue sensazioni, cambiano permettendogli una visione più complessa del suo passato, del suo presente e dell’umanità circostante.
L’opera di Roche è intessuta di un mescolamento di generi inconsueto, da un lato possiede l’impronta del romanzo di formazione – che però viene privato e prosciugato della sua retorica -, dall’altro il tono di una comicità aspra e politicamente scorretta. Lo stile narrativo è volutamente disordinato e confuso per meglio permettere la veridicità dei pensieri e dei flussi di coscienza del protagonista nonché intriso di riferimenti culturali generazionali underground degli anni Novanta (e non solo). Il testo si presenta come una metafora della vita e delle sue contraddizioni, come ad esempio possono esserlo il carattere e la fisicità dei personaggi e dei loro ruoli, mai banalizzati o standardizzati per quanto, ad una prima visione, possano apparire tali. Infatti, se da un lato Trevor fisicamente è forte, grosso e possente, mentre è debole, rachitico e malato il suo assistito Ed, da un altro punto di vista, pian piano è quest’ultimo ad apparire più saggio e più forte e ad essere fonte di ispirazione per il primo. D’altro canto, però, l’autore non cede a falsi sentimentalismi o ad una retorica patetica sulla figura del malato, anzi pur nella sua maturità Ed è un essere cinico, a tratti egoista, e la sua malattia viene descritta in tutto il suo realismo e nella sua crudeltà quotidiana.
Roche mette in luce la freddezza di personaggi tristi e soli, che vengono presi in esame nel sottobosco di una città dalle mille caleidoscopiche prospettive. La galleria della società che ne viene fuori non lascia spazio ad ambiguità di comprensione e il messaggio di degrado umano è chiaro e sconfortante, anche se l’autore più volte getta qualche briciola di speranza a cui potersi aggrappare. Figure e affetti famigliari vengono analizzati sotto una prospettiva ancora più impietosa, che non lascia spazio alla comprensione o all’umanità: il padre e le sorelle di Trevor descritte qua e là dai suoi pensieri e dai suoi racconti (la narrazione è sviluppata in prima persona) sembrano un esempio di indifferenza ed egoismo dei più tragici e inquietanti della storia della letteratura, mentre i genitori del giovane Ed lasciano annichiliti per la loro totale indifferenza nei confronti del loro unico figlio moribondo. Commovente e sentito, invece, il ritratto che ne esce della madre defunta di Trevor, unica figura davvero positiva dell’intero romanzo. Una romanzo che stimola forti sentimenti contrastanti nei confronti dei loro personaggi proprio perché molto umani e veri.