“Alla fin fine, ammazzare mia madre mi è venuto facile“. Dopo aver letto un incipit del genere mi aspettavo scintille. Soprattutto se l’autrice di una frase d’esordio di tale vigore si chiama Alice Sebold ed ha già scritto “Amabili resti”. Invece no. Forse è di nuovo tutta colpa delle aspettative eccessive che mi hanno spinta a cercare ne “La quasi luna” quel colpo di genio letterario che, purtroppo, non ho trovato.
Helen, la protagonista del romanzo, è una bella cinquantenne che, come detto, ha appena ucciso la madre malata. In realtà non c’è nulla di premeditato nel suo atto: decide semplicemente di soffocarla con degli asciugamani. “La sostanza di mia madre era marcia come l’acqua stagnante in fondo a un vaso di fiori vecchi di settimane. Quando mio padre la conobbe era bellissima, e ancora capace d’amare quando divenni la loro figlia tardiva; ma al momento in cui quel giorno alzò gli occhi a guardarmi, questo non contava più niente“.
Poi Helen la lava con cura perché sua madre è sporca di escrementi e lei sa che non le sarebbe piaciuto farsi trovare da nessuno in quelle condizioni. I suoi gesti sembrano naturali, normali. Una normalità che non è affatto semplice da comprendere né da accettare, umanamente parlando. Aver assassinato sua madre appare solo uno dei tanti atti possibili, un atto che resta incagliato in un territorio emozionale e mentale esterno a quello reale. L’orrore del gesto, infatti, non sembra quasi sfiorarla “La sera che ho ucciso mia madre mi sono messa a canticchiare sottovoce, nel tentativo di creare una sorta di rumore bianco fra me e il mio gesto. Continuavo a dirmi: “non sei cattiva, non sei cattiva, non sei cattiva”…“. Helen cerca di mettersi in contatto telefonico col suo ex marito Jake, gli spiega cosa ha appena fatto e lui decide di precipitarsi da lei con il primo areo disponibile.
L’evento su cui ruota l’intero romanzo, sostanzialmente, è questo. La gran parte della storia è rappresentata per lo più dallo scandaglio dei ricordi e delle immagini di un passato che, evidentemente, ha avuto su Helen molti più ripercussioni di quanto lei stessa potesse prevedere. Il suo racconto balza dal presente al passato e dal passato al presente attraverso repentini ed improvvisi movimenti nel tempo. La malattia mentale della madre ha calamitato le attenzioni di suo padre, devoto a questa donna bellissima ma terribilmente fragile, lasciando poco spazio a tutto il resto.
Si procede così a veleggiare nell’alternanza di sentimenti di odio e amore di una figlia nei confronti di sua madre. Una persona incapace di dimostrare affetto e di trasmettere emozioni, una donna perennemente chiusa nella certezza dei pochi gesti quotidiani di un’esistenza trascorsa tra casa e giardino, senza riuscire ad andare oltre quella soglia.
L’analisi compiuta dalla Sebold è un tripudio di dettagli e particolari che danno la sensazione di “rigonfiamenti” narrativi tutto sommato poco produttivi. Si disperde in ricerche e descrizioni esasperate tanto da divenire eccessiva, pleonastica. Il viaggio della memoria di Helen è uno dei mezzi per farci capire dove siano le radici di un matricidio ma servono, con buona probabilità, a permettere alla protagonista assassina di giustificarsi ai nostri occhi. D’altro canto Helen non ha nulla dell’eroina coraggiosa, anzi. Cerca di nascondere la verità un po’ a tutti e pensa seriamente di scappare dal luogo in cui tutto è avvenuto pianificando delle scuse credibili da accampare alla polizia ed immaginando cosa poter dire alle sue due figlie.
Il problema di fondo è che né Helen né la sua vita sono riuscite a generare quell’empatia che, da lettrice, mi sarei aspettata. Ciò che appare evidente è che tra Helen e sua madre non ci sia poi una grande differenza: entrambe sembrano avere gravi problemi mentali. L’ironia e il brutale sarcasmo della Sebold non servono che a peggiorare la situazione e ad allontanare ulteriormente la protagonista da una compassione e da una comprensione che potevano essere alla base di una gradevole lettura. Così non è stato. Non del tutto e non per me, almeno. E un po’ mi dispiace.