Come si fa a scomparire? Cancellare la propria presenza è un’operazione molto complessa, soprattutto in una società come quella attuale, ossessionata dal controllo in tempo reale e dalla costante condivisione di dati, informazioni e immagini. Gli sguardi e i dispositivi di tracciamento a cui, in modo più o meno consapevole, siamo esposti rendono eversiva e utopistica la possibilità di cancellare le proprie tracce. A meno di un miracolo o di una catastrofe, sparire è un’impresa irrealizzabile.
The Leftovers (2014-2017) contravviene agli impedimenti connessi alla sparizione in un’epoca di riproducibilità e moltiplicazione dei modi di manifestazione della presenza per costruire una narrazione che prende le mosse proprio da una dipartita di massa (il termine originale è Sudden Departure, traducibile anche come “partenza improvvisa”). Il 14 ottobre del 2011, senza alcun motivo apparente, il 2% della popolazione svanisce nel nulla. Nello stesso istante ma in luoghi diversi, milioni di uomini, donne e bambini abbandonano misteriosamente la Terra. Una madre, durante una conversazione telefonica, smette di udire il piano del figlio; un uomo non ritrova più la sua amante tra le lenzuola del letto in cui avevano consumato la loro passione; l’ecografia non segnala più la presenza del feto che fino a quel momento cresceva nel ventre di una donna; una famiglia, seduta attorno al tavolo per la colazione, svanisce improvvisamente; un gruppo di studenti, mentre sta partecipando a un esperimento sulla conduzione dell’elettricità attraverso i corpi, assiste incredulo al dileguarsi nel nulla di uno dei compagni. Subito dopo non resta che il vuoto generato dall’assenza, squarciato dalle grida della madre che chiama a perdifiato il proprio figlio, dalle sirene della polizia, dal frastuono degli allarmi, dalle chiamate al centralino per le emergenze che si affastellano. Queste ed altre storie, descrivono, a partire da differenti punti di vista, le vite che si infrangono di fronte a un evento traumatico e al contempo inspiegabile.
Fatta eccezione per i primi minuti del pilot appena descritto e per alcuni flashback che riportano i protagonisti a quella fatidica data, la narrazione di The Leftovers incomincia a tre anni di distanza dall’ottobre 2011. I meccanismi narrativi e la costruzione drammaturgica non si focalizzano sulle cause della Dipartita ma sugli effetti che questa ha prodotto su coloro che sono rimasti in vita. Damon Lindelof, produttore esecutivo e showrunner, assieme a Tom Perrotta, che è anche l’autore del romanzo Svaniti nel nulla di cui la serie è l’adattamento, hanno costruito un universo narrativo all’interno del quale si possono osservare le conseguenze di una scomparsa improvvisa sugli individui e le comunità.
Se il terrore e la guerra per sedarlo costituiscono, rispettivamente, il movente e la risposta agli attacchi terroristici che si sono susseguiti dopo l’11 settembre del 2001, nel caso della Sudden Departure la retorica bellica trova pochi appigli – fatta eccezione per alcuni momenti sporadici, come ad esempio il settimo episodio della terza stagione in cui Kevin, poliziotto di professione nonché protagonista principale della serie, si trova a dover fronteggiare, seppur in una realtà parallela, il rischio di un disastro nucleare –, mentre la scienza non è grado di fornire delle risposte capaci di diradare la fitta nebbia di misteri che avvolge la partenza improvvisa. Laddove la comprensione vacilla e le giustificazioni politiche risultano inefficaci, la fede resta l’unica cura per la sofferenza.
Lungo le tre stagioni che compongono la serie è possibile tracciare, a partire dalle complesse caratterizzazioni dei diversi personaggi, una parabola della fede e del suo mutamento in fanatismo. A partire dal reverendo Matt Jamison, personaggio che trova nel sacrificio il suo principale “movente” narrativo. Quest’ultimo, nella prima stagione, si impegna strenuamente nella confutazione delle letture escatologiche della Dipartita e nella documentazione dei peccati commessi dagli scomparsi. Ma le idee del prete mutano drasticamente e nell’ultima stagione è lui stesso a redigere un nuovo libro sacro, il Libro di Kevin, in cui l’uomo della legge assurge al ruolo di messia che, in occasione del settimo anniversario della Dipartita, dovrà morire e resuscitare per scongiurare un secondo e più vasto cataclisma. All’estremo opposto si pongono i Guilty Remnants, un movimento che ha smesso di sperare, i cui membri sono facilmente riconoscibili perché indossano esclusivamente abiti bianchi, fumano continuamente e non parlano più ma comunicano solo scrivendo su blocchetti di carta. Attraverso la loro presenza, accompagnata da pedinamenti insistenti e manifestazioni di disobbedienza civile anche estrema, ricordano a se stessi e agli altri di essere solo degli avanzi in attesa di scomparire. a metà di questa parabola, fondata sulle estremizzazioni del credo religioso, si pongono i medium che promettono di aprire un canale di comunicazione con i dipartiti, oppure come nel caso di Wayne, a cui la sua setta di adepti ha attribuito l’appellativo di santo, di curare coloro che soffrono per la scomparsa dei propri cari, di liberarli dalle loro pene, abbracciandoli.
Con The Leftovers Lindelof prosegue nella costruzione di una geografia degli spazi comunitari, iniziata con l’isola nella quale si risvegliano i sopravvissuti di Lost (2004-2010). L’immaginaria cittadina di Mappleton, situata nello Stato di new York, è lo spazio in cui, durante la prima stagione, i legami interpersonali si trasformano, le certezze individuali svaniscono di fronte alle sofferenze ed esplode la violenza. La seconda stagione è ambientata a Jarden, dove degli oltre novemila abitanti nessuno è scomparso. Il paese, situato all’interno del Miracle National Park in Texas, è una sorta di santuario dai confini recintati e dalle rigorose norme di sorveglianza: i suoi abitanti hanno relegato nella periferia la massa di fanatici che si ostina a credere nel miracoloso ritorno degli scomparsi. nella terza e ultima stagione è l’Australia, con i suoi spazi aperti e desertici, il luogo in cui i rapporti comunitari si riterritorializzano e si assiste al finale redentivo.
In passato, con Six Feet Under (2001-2005), la serialità aveva indagato il confine tra la vita e la morte e, con Les Revenants (2012-2015), la possibilità di ritornare dal regno dei morti. In The Leftovers a mancare è il momento del trapasso: se il decesso è il segno tangibile della fine, oltre la quale si possono innescare anche delle strategie finzionali di ritorno, la scomparsa produce sospensione, attese e sentimenti di speranza in vista di un possibile ricongiungimento. Il raffronto con l’attentato alle Twin Towers è ancora una volta calzante: se dallo schianto aereo e dalle macerie di Ground Zero è sorto un gigantesco mausoleo, composto da due vasche di granito che richiamano figurativamente il vuoto lasciato dalle Torri gemelle (il progetto architettonico alla base del National September 11 Memorial & Museum si intitola Reflecting Absence), la Dipartita non è monumentalizzabile. Non esiste uno spazio in cui l’evento e il suo ricordo possono convergere in vista di una possibile rielaborazione collettiva del trauma. In mancanza dei corpi da seppellire e di un luogo della memoria che funga da supporto alla commemorazione, esplode il rimorso e i conflitti sociali si inaspriscono. La ritualità del lutto e il lavoro della memoria sono ostacolati e non si concludono, come auspicato dalla psicoanalisi di Freud e dalla fenomenologia di Ricœur, nella rassegnazione e nella rinuncia di ciò che, ormai inscritto in un tempo passato, è per sempre perduto e può sprofondare nell’abisso dell’oblio.
Come emanciparsi dal peso di una sparizione inspiegabile? Non basta essere sopravvissuti, è necessario abbandonare il ricordo dei dipartiti e tornare a con-vivere. Nora lavora per il Dipartimento dell’Improvvisa Dipartita e grazie alle sue doti investigative riesce a svelare le menzogne e i sotterfugi celati dietro alle molte richieste di risarcimento. Prima di scegliere Kevin come suo compagno la donna ha perso l’intera famiglia e, nonostante la sua fiducia nella ricerca della verità, accompagnata da un atteggiamento scettico nei confronti dei fanatismi religiosi e delle teorie pseudoscientifiche, non riesce ad accettare la perdita dei suoi due figli.
Nel finale della serie, intitolato The Book of Nora, una sorta di riflesso, di rimando seriale a The Book of Kevin, il primo episodio della terza stagione, Kevin ritrova Nora in Australia. Sono passati molti anni dalla loro separazione, i loro volti recano i segni della vecchiaia: lui l’ha cercata ovunque, lei si è nascosta da tutti, rifugiandosi nella solitudine. Sottoponendosi a un rischioso esperimento ha viaggiato a lungo in un’altra dimensione, dove ha ritrovato i suoi gli e tutti gli altri dipartiti. Ha scoperto un mondo desolato di vuoto e silenzioso nel quale era venuto a mancare il 98% della popolazione. Nora ha provato a ricongiungersi con i suoi cari ma, dopo averli intravisti dalla finestra della sua vecchia casa a Mappleton, ha compreso che era giunto il tempo di separarsi da coloro che avevano iniziato faticosamente un’altra vita. Adesso, di fronte a Kevin, la sua testimonianza e il suo viaggio “dall’altra parte” possono trovare ospitalità nel racconto e nell’ascolto: attraverso campi e controcampi, i due si riconosco, i loro sguardi posso ritrovarsi.
L’epopea intima della separazione e del ricongiungimento, presagita fin dai titoli di testa della prima stagione in cui lo spettatore assiste a un’animazione digitale ispirata al Giudizio Universale michelangiolesco, sembra aver trovato un rinnovato equilibrio e la sigla composta da Max Richter può tornare a invadere lo schermo.