Racconti magici, per atmosfera e riferimenti, e per una magia più forte e più intensa che brilla al loro interno, preziosa, imperativa, fatta di parole e di sensazioni, di alchimia ed esoterismo, nella suggestiva Praga di fine 1500.
Magici, non soprannaturali. Perché il soprannaturale è solo qualcosa che non si sa come spiegare, mentre la magia è radiosa, più rara, densa di riverberi e luccichii.
E qui abbonda, per gli argomenti, sottesi di ironia, di incanto e di contrapposizioni, ma altresì per l’armonia del linguaggio di Perutz, desueto e moderno, classico e immortale, che sa di fiaba e di antico, di giallo e di azzurro, con qualche sfumatura nera, ricco, corposo, ma semplice e snello, senza troppi orpelli, ma non privo di intarsi, arabeschi, decori.
Racconti, dicevo, ma che si rincorrono, in cui i personaggi sono sempre gli stessi – Mordechai Meisl, Koppel-Bar e Jackel-Narr, l’Imperatore Rodolfo II e persino Keplero, l’astronomo… - differenti per carattere ed estrazione sociale, a volte protagonisti, altre testimoni o comparse, che si avvicendano e si influenzano, sino a tracciare un affresco dal cromatismo incredibile, vivace, umbratile, che è storico, mistico, sornione, ma pure splendidamente umano.
Che dire?
Che non ci si può non innamorare di Praga, di Perutz o del suo stile insinuante, poetico, intriso di sortilegi e strizzate d’occhio, solo apparentemente placido e misurato, perché è sotto la superficie liscia che nuotano i pesci più variopinti, quelli dalle scaglie d’oro o d’argento, che possono soddisfare i desideri.
Un libro che è puro rapimento.
Un libro che scaverà a lungo dentro di voi, anche dopo che lo avrete riposto.