Sono passati sei mesi da quando l’investigatore privato Marco Buratti, detto l’Alligatore, è stato contattato da un musicista di Cagliari, Alberto Cabiddu, che gli ha portato un disco piuttosto raro di blues – la sua passione, assieme al Calvados e alle sigarette – omaggio di un signore sardo che gli voleva affidare “un incarico delicato”. In quel momento non gli è stato possibile accogliere l’invito, chissà se il cliente nel frattempo si è stancato di aspettarlo. Comunque l’Alligatore dal suo buen retiro in Corsica ha preso un traghetto per la Sardegna, al massimo sarà un viaggio a vuoto. Giunto a Cagliari, si fa indicare una pensione a buon mercato da alcuni senegalesi, si chiude in camera tutto il giorno in compagnia di un bottiglia di calvados e la sera va a cercare Cabiddu nei locali del porto dove si fa musica. Quando lo trova, scopre che il famoso cliente non si è affatto rassegnato e anzi ogni settimana chiama il bluesman chiedendogli se ha notizie dell’Alligatore. È un anziano avvocato, Genesio Columbu. Il giorno seguente Buratti lo va a trovare. Lo studio è al terzo piano di un palazzo di via Tuveri, a due passi dal tribunale. Ad aprirgli la porta una signora che si presenta come segretaria ma si capisce benissimo che è la moglie di Columbu. Vogliono che rintracci loro figlio Toni, latitante da più di cinque anni per motivi politici, condannato per Banda armata. Ha sempre telefonato a casa almeno per il compleanno della madre, ma da due anni non lo fa più e i genitori sono molto preoccupati. Sanno che ha vissuto a Parigi per qualche tempo e che poi ha conosciuto una donna e si è trasferito chissà dove con lei. L’Alligatore torna alla pensione: c’è qualcosa che non quadra in quella indagine. Per avere notizie dei latitanti politici il giro da battere è quello dei loro legali, dei parenti e degli amici. Possibile che un avvocato esperto come Columbu non lo sappia?
Secondo romanzo della serie dell’Alligatore, datato 1997 (nella trama non si fa cenno né a telefoni cellulari né ad internet, e questo particolare ormai – data la pervasività odierna di tali strumenti – ha sempre un effetto straniante sul lettore). Massimo Carlotto torna dunque sul suo personaggio, delineandone sempre meglio i contorni: musicista blues dal look appariscente e dannatamente fuori moda, “profugo” degli anni ’70, che ha scontato sette anni di galera da innocente e ora sfrutta la contiguità acquisita con certi ambienti per lavoro. Le avventure dell’Alligatore seguono stilemi hard boiled, ma immergendoli in una realtà profondamente italiana, fatta di intrecci tra politica, malavita e servizi segreti. Non fa eccezione questo Il mistero di Mangiabarche, nel quale al protagonista, attratto a Cagliari da un incarico che si rivela ben presto uno specchietto per le allodole, viene chiesto di “vendicare” tre avvocati cagliaritani (uno malato di un tumore in fase terminale) che hanno scontato ingiustamente anni di carcere per l’omicidio di un loro collega, tale Giampaolo Siddi. Che però in realtà non hanno ucciso, e che addirittura forse morto non è affatto. Manco a dirlo, Marco Buratti si troverà invischiato in un intrigo internazionale pericolosissimo, tra lotta all’indipendentismo corso e traffico di droga, morti ammazzati e considerazioni amare sulla vita. Non si potrebbe chiedere di più ad un romanzo noir, a ben vedere.