L’alcol e la nostalgia di Mathias Enard, autore del premiato La bussola, sempre per Edizioni e/o, è l’adattamento di una fiction radiofonica, dai contorni appena definiti, tutto quello che ci può aspettare da un romanzo o un racconto lungo qui non c’è. Da tenere a mente.
Basta una telefonata per prendere un aereo e arrivare a Mosca con le mani piene di antichi ricordi.
La Russia è una divagazione narrativa nel tempo e nello spazio, in tre viaggi sentimentali, interiori, perché è la voce narrante che ne ordina le tappe.
Quello di Mathias, Jeanne e Vladimir, un ménage à trois, nella Mosca degli anni ‘90: «ho pensato che eravamo delle matrjoške, noi tre. Infilate per sempre una dentro l’altra, inutili fuori, aperte in due e vuote». Una storia di passione, assenza e di quella malattia dell’anima, inguaribile, che si chiama Russia, che si chiama Jeanne.
Mathias vuole capire. Prende distanza da quel momento, percorrendo così 3000 chilometri lungo i binari della Transiberiana, sul Bajkal Express, verso Novosibirsk, paese natale di Vladimir. È un viaggio fisico, reale, tra i deludenti Urali, le città metalliche e sanguinose, fiumi e foreste, in un perenne inverno. Documentando così della Russia post-comunista – la sconfitta del cambiamento, quella Rivoluzione d’ottobre, il mito, che ha ereditato solo il suo rovescio –, il protagonista non si intrufola nella pieghe politiche, esplora le conseguenze sociali di una terra sbandata che trova conforto nella droghe pesanti, testandolo sulla propria pelle, e nell’allestimento di memoriali più sfarzosi del tempo che fu. La Russia odierna è una bionda, dai tacchi vertiginosi accompagnata a uomini eleganti e straricchi: «una brutalità famelica, eppure il sistema sovietico era già morto da un pezzo, la Federazione russa entrava nell’adolescenza, oggi è una donna fatta, che ha visto di tutto, guerra compresa».
Infine c’è un viaggio personale, un flusso di memoria, che ha davvero contatto con la scrittura. C’è, innanzitutto, l’ombra lunga di Čechov, Dostoevskij, Nabokov, Anna Achmatova, Puškin, Gogol’: un omaggio che trovo forzato, non necessario, quasi a dare rilievo a una certa erudizione. Consapevole che sia un’indagine dell’anima russa. Per quanto mi riguarda è una questione soggettiva.
Ma soprattutto, più importante, la presa di coscienza di Mathias, la misura con la realtà attuale, povera di fervore. Se prima il desiderio di libertà coincideva con l’allontanarsi dalla provincia francese per raggiungere Parigi, ora più che mai è il tentativo di fare della scrittura l’essenza della propria vita. Mathias cerca disperatamente un appiglio sempre proficuo, ispiratore per dare corpo a quanto gli muove dentro, ma si fa cullare dall’alcol e dalla nostalgia e lascia l’ultima parola a una verità inammissibile.