Mathias Énard è nato a Niort nel 1972. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Bussola (E/O 2016)
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Quante ore lavori al giorno e quante battute esigi da una sessione di scrittura?
Sei ore, dalla mattina presto. Se posso comincio verso le sei e vado avanti fino alle dodici, a volte anche le tredici. Se non ci sono problemi particolari faccio diverse pagine, senza preoccuparmi troppo del numero esatto. Al pomeriggio, poi, le revisiono.
Dove scrivi? Hai orari precisi?
Scrivo a casa, e se sono in viaggio mi organizzo una stanza. Devo scrivere comunque e sempre nello stesso luogo: devo creare una stanza specifica dove tengo tutti i materiali e si forma l’impronta del libro. Come detto scrivo sempre al mattino.
Fai preproduzione o scrivi di getto?
Sì, faccio moltissimi schemi, disegni, dossier, prima di cominciare. E ricerca, ovviamente, visto il tipo di romanzi che scrivo. Prima di tutto in realtà ci sono le ricerche, anche se poi, quando scrivi, ci sono momenti in cui ti rendi conto che ti mancano dati che non avevi previsto e allora devi ripartire per raccoglierli. Ma a parte queste evenienze, una volta raccolto tutto ciò che mi occorre per il libro mi immergo in modo totalizzante. In effetti passo diversi mesi senza uscire dalla stanza in cui lavoro.
Quante riscritture fai? Tendi giù a buttare giù prima tutto o cesellare passo passo?
In genere ci sono dalle tre alle cinque riletture, e quindi riscritture, della stessa pagina. Come detto scrivo di mattina e il pomeriggio torno a leggere quello che ho scritto, modificandolo. Poi quando ho finito il capitolo torno all’inizio e lo rileggo per intero, effettuando ulteriori modifiche. E poi faccio la stessa cosa, di nuovo, col libro, altre due tre volte.
Scrivi più libri in contemporanea?
Non è mai capitato, si potrebbe, magari lo farò, non vedo ostacoli particolari, ma per ora non mi è mai capitato.
Carta o computer?
Direttamente al computer.
Tic o rituali per favorire la concentrazione?
Nessuno, se non quella cosa della stanza e l’organizzarmi per avere molte ore libere davanti.
Come hai esordito?
È stato molto difficile, non conoscevo nessuno in ambito editoriale. Avevo vissuto dieci anni tra Siria e Iran e alla fine mi ero sistemato a Barcellona, ma in Francia non avevo contatti di alcun tipo. Quindi non sapevo bene cosa fare o a chi rivolgermi. Ragionandoci su, mi venne in mente la casa editrice Actes Sud, che mi piaceva molto da lettore, e che pubblicava autori arabi contemporanei. Quella che ho scritto, mi sono detto, è comunque una storia araba, quindi magari a loro può interessare. Gli ho scritto e mi hanno detto di inviare, aggiungendo che se non avrei ricevuto risposte dopo tre mesi il libro era da considerarsi rifiutato. Per paura che non venisse neanche letto ho cercato di mettere un nome sulla busta contenente il manoscritto, ho trovato quello che credevo essere il nome di un editor, ma mi sono sbagliato e ho mandato all’ufficio diritti. Un errore che però si è rivelato fortunato: dato che costui non riceveva mai manoscritti, si è incuriosito, lo ha letto e lo ha passato al direttore editoriale. Era iel 2002, il libro è quello che è poi uscito in Francia col titolo La Perfection du tir.
Come è cambiato il tuo modo di lavorare da allora?
Il metodo in sé non è cambiato molto. È sempre un processo lungo, difficile e faticoso. Quello che è cambiato è lo scrittore: sono molto più tranquillo e sicuro dei miei mezzi, quindi lavoro con meno ansia e con una certa consapevolezza del fatto che prima o poi da tutto quel lavorare uscirà qualcosa di compiuto.
Le opere che più ti hanno influenzato per quanto riguarda la pratica e il mestiere della scrittura.
Sicuramente Roberto Bolaño: è stato questo quando ho letto I detective selvaggi che mi sono detto: io voglio scrivere, e voglio scrivere così.
Non che prima non scrivessi: ma erano testi accademici o articoli. Ma mi ero stancato, volevo più libertà. La fiction me la poteva dare e quel romanzo mi ha indicato la direzione.
“Esisti” online?
Sono su Facebook ma giusto per dire due cazzate, niente di importante o che riguardi in modo rilevante il mio lavoro letterario.