In un saggio intitolato “Discorso sulle donne” pubblicato nel 1948 sulle pagine delle rivista Mercurio Natalia Ginzburg metteva il sito su quella che secondo lei era un’autentica piaga femminile, ovvero quella “cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro e annaspare per tornare a galla”. È questo che preclude alle donne, a suo parere, la disponibilità di essere veramente libere “perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo”. Se non si può negare questa tendenza delle donne a sprofondare i se stesse, è però altrettanto vero che non è interpretabile in un unico modo: non è solo un elemento disturbante e fortemente limitativo, ma è anche un’occasione di più profonda conoscenza da cui attingere nuova linfa vitale. È questo l’argomento principe con cui Alba De Céspedes replica alle osservazioni della Ginzburg. Tutt questo mi è tornato in mente leggendo l’intenso romanzo di Chiara Mezzalama ‘Avrò cura di te’. Perché è proprio in un pozzo che è cascata una delle protagoniste, Bianca. Un pozzo dalle pareti altissime, che la isola dentro se stessa, immunizzandola dalle emozioni forti della vita: è per questo che Bianca non riesce a comunicare con i suoi allievi liceale, che non riesce a tenersi vicino o a viaggiare insieme a Alberto, fotografo perennemente alla ricerca di realtà non ancora conosciute; è per questo che dcide di abortire quel grumo di cellule percepito come una minaccia. Ma quando nella sua casa sigillata irrompe Yasmina, la ragazza marocchina in fuga da un passato di umiliazioni e violenze, in Bianca qualcosa comincia a cambiare. Impara a vedere, a sentire Yasmina, a prendersene cura; e la ragazza si prende cura di lei. Anche Yasmina è in fondo a un pozzo di solitudine, di spaesamento, di nostalgia: in modo parallelo eppure diverso, tessendo quotidianamente una fitta rete di scambi, di piccoli riguardi, di attenzioni, imparando l’una la lingua e i modi dell’altra, le due donne creano le condizioni per uscire dal loro pozzo. E, avvalorando la prospettiva cara alla De Céspedes, ne escono con energia rinnovata, una fiducia fresca nella vita e, soprattutto, la certezza di una solidarietà che da “segreta e istintiva” si è fatta “consapevole e palese”.