Ambientato in una non precisata città mediorientale “Ultimo giro al Guapa” di Saleem Haddad narra la tormentata vicenda del giovane Rasa e dei suoi amici che tra hashish, omosessualità e proteste di piazza contro un regime autoritario ed ipocrita, partecipano con entusiasmo alle giornate della Primavera araba fino a quando la rivolta non è egemonizzata dai fondamentalisti islamici.
“Il lato delle donne è da quella parte” si sente infatti dire inaspettatamente un giorno Basma amica di Rasa allorquando i ragazzi sono andati come al solito in piazza a protestare, e le viene indicato un quadrato circondato da un telone di plastica riservato alle donne. Alle consequenziali rimostranze , il giovanotto che ha dato le indicazioni giustifica la sua volontà di segregare le donne con motivi dettati dalla sicurezza. Rasa allora gli risponde che sono più sicuri insieme.
“Lui mi guardò. – Ah davvero? Hai paura di farti male? Forse dovresti andare anche tu nella zona delle donne.-
Invece andai a casa.
Dopo quel giorno tornai in piazza solo un’altra volta…..”
E se l’alibi della sicurezza serve agli “uomini barbuti” – è così che li chiama Rasa – per controllare la piazza, quello del terrorismo serve al regime per aumentare il controllo sociale sul Paese, limitare qualsiasi parvenza di libertà o di democrazia e soffocare nel sangue qualsivoglia ribellione. In nome della lotta al terrorismo non solo è permesso se non addirittura richiesto ogni genere di abuso compiuto delle forze dell’ordine ma è tollerata e giustificata qualunque forma di corruzione o negligenza da parte di chi amministra la cosa pubblica.
“…Molti compagni di scuola, gente con cui pranzavamo e andavamo in assemblea, sono scomparsi nel nulla durante i sei mesi trascorsi da quel gelido mattino di gennaio, quando siamo scesi in strada per la prima volta. Nadia è in prigione. Aveva recitato la parte di Sandy nell’allestimento di Grease del nostro liceo, andato in scena solo due sere e poi interrotto perché un genitore si era lamentato che le scene di ballo erano troppo provocanti. Durante il processo il mese scorso, l’hanno portata in giro dentro una gabbia……Rami e Shadi, i campioni di basket della nostra classe, sono scomparsi il primo giorno delle sparatorie: probabilmente i loro cadaveri sono nascosti da qualche parte dentro la cella di una prigione, oppure sono stati gettati in un fosso lungo una strada fuori città. E Joud, la studentessa incaricata di pronunciare il discorso di chiusura dell’anno scolastico……un pomeriggio è andata a dormire e non si è svegliata più…….la madre mi prese da parte e mi confessò di aver trovato un flacone di pillole nascosto sotto il materasso…….”
A questa vicenda politica, molto simile nel suo insieme a quella che in altri periodi hanno vissuto giovani di altre generazioni – “Se non ci lascerete sognare noi non vi lasceremo dormire” recita infatti uno slogan tatuato sul corpo di Maj, un altro amico di Rasa, slogan usato dagli Indignados spagnoli e che ci riporta immediatamente a quelli del Maggio francese “Una risata vi seppellirà” o “L’ immaginazione al potere”- si intreccia in maniera egregia la storia privata del protagonista, abbandonato da bambino dalla madre e allevato dalla nonna paterna, Teta, tra ossessivi sensi di colpa ed ipocrisie perbeniste piccolo borghesi. Ribellarsi alla rigida educazione impartitagli da Teta e poter vivere apertamente la propria omosessualità per Rasa – come per Maj, che di giorno raccoglie notizie sulle violenze commesse dalla polizia e di notte è star drag queen del Guapa – diventa condizione imprescindibile da cui partire per ribellarsi al regime politicamente autoritario e corrotto in cui vivono. Insomma per Rasa e i suoi amici del Guapa, il locale underground dove si radunano i giovani qui raccontati, il ”personale è politico” così come lo era per i giovani e le donne che protestavano in Italia negli anni settanta allorquando volevano cambiare prima se stessi e poi il mondo.
Terminato il liceo Rasa va a studiare negli Stati Uniti e qui impara a proprie spese che più che l’omosessualità, ciò che gli viene rimproverato è il suo essere arabo. Eppure è proprio negli Stati Uniti che ha la possibilità di leggere Amin Maalouf, Karl Marx, Partha Chatterjee, Edward Sa’id e Antonio Gramsci; autori il cui pensiero lo aiuterà ad orientarsi nella complessità del mondo in cui vive e a liberarsi della gabbia fatta di pregiudizi e falsità che lo soffoca.
Una gabbia intrecciata soprattutto da Teta che ha costruito intorno a Rasa e ai suoi genitori una sorta di asfissiante prigione fatta di regole ataviche, tabù e preconcetti ai quali sua nuora, la madre di Rasa, una giovane artista alla quale la suocera rimprovera di “essere troppo emotiva”, riesce a sottrarsi solamente abbandonando la famiglia; famiglia in cui per poter piangere liberamente ella era costretta a mascherare le lacrime versate dettate dalla sua infelicità coniugale con quelle procurate da uno spropositato taglio di cipolle.
“Nelle brutte giornate trascorreva ore a tritare cipolle. Ne tagliava abbastanza per un mese intero, e poi le metteva a congelare in sacchetti di plastica trasparenti. Tutti sapevamo perché lo faceva…… Eppure continuava a tritare cipolle, e nessuno diceva una parola, perché sapevamo che nell’attimo stesso in cui avessimo parlato la facciata sarebbe crollata….”
Insomma sbarre familiari, sociali e prima di tutto mentali che Rasa dovrà faticosamente spezzare. E a proposito di omosessualità rivelata che squarcia l’opprimente velo delle convenzioni imposte, questa storia ci rimanda a quella vissuta da Philip, il giovane protagonista del romanzo di David Leavitt La lingua perduta delle gru, che decidendo di vivere alla luce del sole il proprio orientamento sessuale costringe il padre a fare i conti con la propria omosessualità tenuta opportunamente e ipocritamente nascosta.