«Si chiamava Jacques Le Moyne. Era di bassa statura, benché massiccio di muscoli (...). Se non fosse stato per la guerra che scuoteva il Paese, si sarebbe dedicato dal giovane al mestiere della pittura (...). Divenne archibugiere».
«Mi chiamo Francois Dubois. Sono nato ad Amiens nell’anno di grazia 1529. Vissi in quella città finché la gioventù non si insinuò in me come un’immensa curiosità per il mondo. E il mondo, allora, era Parigi».
«Si chiamava Théodore de Bry. Era nato a Liegi, ma già da giovane si trasferì a Strasburgo. A causa della sua professione e dell’adesione alla nuova fede fuggì ad Anversa, poi a Londra e più tardi a Francoforte. In queste città sono andato in cerca delle sue tracce e ho trovato alcune immagini che lo riguardano».
Ecco gli incipit che riguardano tre artisti protestanti, non di primo piano, realmente vissuti nel XVI secolo — il cartografo e pittore Le Moyne (1533-1588), testimone dell’insediamento degli ugonotti in Florida e ammiratore e studioso dei tatuaggi degli indigeni, che, sopravvissuto alla strage dei soldati della cattolicissima Spagna, riesce a tornare avventurosamente in Europa; il pittore Dubois (15291584), autore del quadro Il massacro di San Bartolomeo, in cui venne uccisa la moglie incinta, e l’incisore Bry (1528-1598), che ha illustrato le crudeltà narrate nel Brevissimo resoconto della distruzione delle Indie di fra’ Bartolomeo de las Casas sul genocidio spagnolo nelle Americhe — protagonisti del Trittico dell’infamia di Pablo Montoya (Colombia, 1963). Il libro — cui nel 2015 sono stati assegnati il premio internazionale di narrativa Rómulo Gallegos (già vinto da García Márquez, Fuentes, Vargas e Bolaño) che ha fatto conoscere il suo autore e, quest’anno, il premio José María Arguedas della Casa de las Américas —, tradotto da Ximena Rodriguez Bradford, è appena uscito presso due case editrici. Da e/o (pagine 272, e 18) in edizione normale e da Mudima (pagine 304, e 30), con la postfazione di Fabio Rodriguez Amaya e le illustrazioni (dipinti, acquerelli e incisioni) dei tre artisti protestanti ed altri. Fra quest’ultimi, la Cosmografia universale di Guillaume Le Testu, il Mappamondo di Fra’ Mauro, l’Atlante Miller, Erasmo da Rotterdam e il San Girolamo nella cella di Dürer, Il massacro di Vassy di Perrissin, le torture di Paré, il Lutero di Hopfer e il ritratto di Calvino, i cannibali nel Nuovo Mondo di Staden.
Per documentarsi, a questo scrittore e docente universitario di Letteratura latinoamericana (ad Antioquia e alla Sorbona di Parigi 3), nonché musicista di flauto traverso, sono stati necessari mesi e mesi di ricerche nelle Americhe e in Europa. Il risultato? Fra arte (pittura, fotografia e musica), storia, leggenda e ciò che oggi si chiama fiction, ecco uno spaccato delle vicissitudini fra Vecchio e Nuovo Mondo, ritratte minuziosamente attraverso le vicende personali dei tre protagonisti. Sullo sfondo, il fanatismo di una parte dell’Europa del secolo XVI, con le spaventose lotte religiose fra cattolici e protestanti e gli orrori della Conquista in nome di una civilizzazione che, in realtà, mirava ad occupare nuovi territori inesplorati per impossessarsi delle loro ricchezze.
Romanzo storico — che certamente sarebbe piaciuto ad un indagatore come Leonardo Sciascia —, Trittico dell’infamia pone anche alcune domande sul ruolo di arte, storia e letteratura (e — direbbe Álvaro Cepeda Samudio — «che cos’è la letteratura se non la grande storia del mondo ben raccontata?»).
Risposta: il loro compito è anche quello di lottare contro l’oblio.