“L’amore molesto” è il primo esemplare della ricca produzione romanzesca attribuita ad una misteriosa scrittrice che firma le proprie opere con il nome di Elena Ferrante, a cui più volte si è cercato inutilmente di fornire un’identità. E’ un racconto complesso, che può richiedere delle riletture, non per una difficoltà di tipo linguistico ma relativa allo sviluppo della trama. La storia viene dipanata da una scrittura che, pur essendo fredda, raziocinante, stimola reazioni emotive di ampia gamma, a volte sconfinanti nel fastidio, forse dovuto a certe descrizioni o ai risvolti psicologici di tipo patologico o ad un’atmosfera costantemente cupa. Nel libro i passaggi dal presente al passato con sortite nell’onirico rendono con efficacia l’angoscia della protagonista, Delia, sin dal momento in cui apprende della scomparsa della madre, la coprotagonista assente ma con connotazioni che la mettono in rilievo rispetto alla prima.
Il ventuno maggio Amalia lascia Napoli per recarsi a Roma, dove vive e lavora la figlia, in occasione del compleanno di quest’ultima che, due giorni dopo, verrà informata del ritrovamento della madre, seminuda e annegata in un tratto di mare presso la località in cui trascorreva le vacanze da bambina. Il senso d’ansia ed abbandono che la sopraffanno nel tempo dell’attesa, durante il quale la donna riceve da Amalia tre telefonate sconclusionate, le ricordano le sensazioni di angoscia e separazione provate nell’infanzia ad ogni suo ritardo.
Nel giorno del suo funerale, al crescendo di tensione contribuiscono la latitanza dell’ex marito, la rabbia dello zio Filippo nei confronti della sfacciata presenza di Caserta, in passato corteggiatore sgradito della donna e committente delle opere dozzinali realizzate dal marito pittore, ed il risentimento delle due sorelle causato dal non vedere un dolore manifesto negli occhi di Delia. Il tutto amplificato dall’aspetto deteriore di una “napoletanità” che la protagonista rifiuta recisamente anche nell’idioma.
La casa di famiglia, posta al terzo piano di un palazzo del centro storico, accentua il difficile e doloroso bagno nel passato (“Quando si entra nella casa di una persona morta di recente, è difficile crederla deserta. Le case non conservano fantasmi ma trattengono gli effetti degli ultimi gesti di vita”), durante il quale Delia impara per prima cosa come le consuetudini vengano evidenziate da tutto ciò che, invece, se ne discosta inverosimilmente. Ad esempio, inizia a chiedersi come sia possibile che una donna di poco più di sessant’anni, con un abbigliamento sempre e necessariamente modesto e rattoppato per placare la gelosia del padre, venga ritrovata vestita solo di un reggiseno, palesemente nuovo e costoso, e dei suoi orecchini ed anelli.
Ma con chi confrontare i suoi dubbi e le sensazioni sgradevoli? Con le sorelle ormai estranee e già ripartite (“Da anni vivevamo in città diverse, ciascuna con la sua vita e un passato in comune che non ci piaceva”)? Con il padre che non aveva mandato nemmeno un fiore per la ex moglie? Con lo zio Filippo dal temperamento rabbioso e rancoroso oppure con la vicina di casa, l’anziana signora De Riso, dal rapporto altalenante con Amalia (“Provavo pena per quel mondo di vecchi smarriti, confusi tra immagini di sé che risalivano a epoche andate, ora affiatati ora in rissa con ombre di cose e persone del tempo passato”)?
Inizia, così, il percorso a ritroso di Delia nella vita della madre. I suoi ricordi di figlia vagano confusi tra l’immagine di una donna perennemente in potenza di tradimento e la vittima di un uomo che, consapevole dell’attrattiva che la moglie esercitava, suo malgrado, su altri uomini, cerca con ogni mezzo di modificarne e mortificarne la personalità.
Delia, a poco a poco, ricostruisce la figura di una persona rassegnata a nascondere la propria sofferenza, assieme a tutte quelle piccole particolarità del carattere e del corpo che la rendevano se stessa, dietro ad una pacatezza e persino un atteggiamento gioioso che le era connaturato e che risultava irritante per il padre e incomprensibile per le figlie. Proprio quelle sue caratteristiche ed attrattive facevano desiderare alla donna di fondersi con lei, mentre sapeva di essere una parte fuoriuscita dal suo corpo e ancora così tanto bisognosa di rientrare almeno nella sua considerazione (“Accadeva dopo che negli anni, per odio, per paura, avevo desiderato di perdere ogni radice in lei, fino alle più profonde: i suoi gesti le sue inflessioni di voce, il modo di prendere un bicchiere o bere da una tazza, come ci si infila una gonna, come un vestito, l’ordine degli oggetti in cucina, nei cassetti, le modalità dei lavaggi più intimi, i gusti alimentari, le repulsioni, gli entusiasmi, e poi la lingua, la città, i ritmi del respiro. Tutto rifatto, per diventare io e staccarmi da lei”).
“Quante cose attraversano il tempo staccandosi fortunosamente dai corpi e dalle voci delle persone”, pensa Delia, ed infatti nel suo viaggio nel passato ritrova un altro personaggio, Antonio, figlio di Caserta, il bambino con il quale aveva condiviso quei giochi che fanno battere il cuore in modo selvaggio per la prima volta. L’uomo lavora presso il negozio di biancheria intima costosa della quale fa parte il reggiseno trovato addosso alla madre assieme ad un’altra serie di accessori che lo stesso Caserta le aveva riconsegnato ammucchiati in un sacco davanti alla porta di casa, presumibilmente appartenuti alla madre ma stranamente, come noterà solo in seguito, non della sua taglia. Antonio si scusa per il comportamento sfacciato tenuto dal padre in passato e ringrazia per la gentilezza e la compassione dimostrata dalla donna nei confronti del vecchio nell’ultimo anno, ammettendone implicitamente la recente frequentazione. Per Delia, Antonio rappresenta la possibilità di replicare il rapporto fantasticato tra Caserta e Amalia, un tentativo impossibile sia per due bambini sia per due adulti rimasti intrappolati nella loro infanzia.
Ritornano, così, con maggiore forza per la donna le domande inquietanti che l’avevano tormentata sin dall’infanzia: sua madre era la sarta dimessa e schiva china sulla sua Singer “come un ciclista in fuga”, sempre intenta a trasformare sagome e “stoffe vuote” in indumenti che avrebbero rivestito corpi veri, oppure quella che, nei suoi ricordi o autoillusioni, si trasformava grazie alle attenzioni di Caserta con il quale condivideva dei segreti, giochi a lei proibiti e piccoli regali che non buttava via ma nascondeva malamente o affatto e che suscitavano le ire del marito? Era la donna picchiata, soffocata, sempre colpevole delle attenzioni ricevute, che rappresentavano per lui “un consenso irriflesso”, controllata e punita anche dopo anni dal divorzio perché, nonostante Caserta e famiglia fossero stati costretti decenni prima dal padre e dallo zio ad andare via dal paese, aveva saputo in qualche modo che i regali continuavano ad arrivare? Era la donna più stupita che terrorizzata dalle botte del marito, sotto gli occhi delle figlie confuse da un atteggiamento che non sapevano se giudicare sottomesso o segretamente colpevole? Perché aveva sposato quell’uomo rozzo che dandole il suo cognome l’aveva “cancellata col suo alfabeto”?
Il trauma peggiore per Delia è la scoperta che la sua infanzia sia stata “una fabbrica di menzogne che durano all’imperfetto” generate dalla sua mente probabilmente per sopravvivere ad un clima di terrore. Nonostante le figure maschili che in qualche modo l’avevano caratterizzata: il padre padrone, lo zio a lui solidale, Antonio con suo padre e il nonno ed i loro vizi manifesti e occulti, fossero state palesemente negative, il danno maggiore alla psiche della donna sembra essere stato proprio l’attaccamento morboso alla figura materna, caratterizzato dalla medesima gelosia ossessiva del padre rivolta verso le attenzioni maschili da questa ricevute e che riteneva sottraessero quelle della madre a lei. Questo è l’amore molesto.
Allo stesso modo, risulta molesto quello di un marito determinato a nullificare la personalità della moglie e di un corteggiatore sempre respinto ma non con la decisione necessaria ad allontanare definitivamente un uomo che non ha mai esitato a godere del dubbio instillato nella famiglia della donna, continuando persino dopo il divorzio a vendicarsi di non aver mai ottenuto da lei altro che attenzioni passive e piccole gentilezze ma mai ciò che davvero desiderava. Questo, forse, fino al suo ultimo giorno di vita o forse no?
E’ evidente come Delia sia una figura scialba, trattenuta e un po’ mascolina al cospetto di quella materna sfaccettata e spontaneamente sensuale, in piena lotta interiore tra vuoti, rimpianti e una forma di disistima che perpetua a catena quella dei genitori ma che sceglierà di non riversare su eventuali figli e, soprattutto, sensi di colpa racchiusi in un ricordo riemerso con prepotenza alla sua memoria. Il finale del romanzo rivelerà se la donna, al termine del suo percorso di auto psicanalisi, risulterà ancora intrappolata nelle citate dinamiche infantili che nemmeno il lutto sarà riuscito a scardinare o avrà finalmente il coraggio d’interrogarsi su chi sia realmente Delia e non Amalia.