Non tutte noi nasciamo con una specifica passione, mettiamo per lo scrivere canzoni. Al contrario, in molte sappiamo di essere brave in qualcosa, per esempio con le parole, ma potremmo passare un mucchio di tempo a chiederci come impiegare questo talento, se nelle canzoni, o nella sceneggiatura, o nella poesia. Kate Tempest ha tagliato la testa al toro e ha deciso di provare a fare tutto. Indovinate un po’? Le è riuscito.
Kate Esther Calvert (Tempest è il nome d’arte che si è data ispirandosi a La Tempesta di Shakespeare) è nata nel 1985 a South London, “una parte schifosa della città, ma in una casa dove c’era sempre da mangiare”. Ultima di cinque fratelli, ha imparato che è tutto è possibile dal padre, che di giorno lavorava come muratore e la notte studiava per diventare avvocato penalista (sogno che si è realizzato quando lei aveva otto anni). Una famiglia con pochi fronzoli, insomma, che le ha insegnato a porsi qualsiasi obbiettivo, a patto di essere disposta a lavorare sodo per ottenerlo.
“How many yous have you been?
How many,
Lined up inside,
Each killing the last?”
Kate inizia già a 14 anni a lavorare in un negozio di dischi, mentre il suo percorso scolastico è in crisi. Le scuole primarie le sono piaciute, ma detesta le superiori, di cui ama soltanto l’insegnante di italiano, che la sprona leggendo le sue prime poesie e prestandole continuamente nuovi libri. A 16 anni lascia il liceo per iscriversi alla scuola di Arti Performative e Tecnologia di Croydon, e finirà per laurearsi in Letteratura Inglese all’università di Londra. Sempre a 16 anni, Kate prende anche un’altra importante decisione. Inizia a presentarsi alle serate open mic (cioè col microfono libero) in un piccolo negozio di musica hip hop di Carnaby Street, dove impara a rappare. Non la ferma essere una ragazzina minuta in un mondo di ragazzoni aggressivi, e non la fermano le sfide, che coglie una dopo l’altra senza mai tirarsi indietro. Ben presto il sottobosco dell’hip hop londinese, colpito sia dal suo talento che dalla sua grinta, la adotta, e alcune celebrità dell’ambiente se la portano persino in tour. Kate però rifiuta il modello del rapper violento simile a un gangster, che va per la maggiore nei video di MTV. I suoi maestri sono mostri sacri come Kendrick Lamar e i Wu Tang Clan, e forte del loro esempio lei vuole diventare un’artista impegnata, capace di cantare della Londra che conosce, quella dura dei quartieri poveri. Ma non solo, Kate non vuole neanche cedere al ricatto del dover per forza essere sexy, e continua ad esibirsi in variazioni sul tema di jeans e scarpe da ginnastica.
Nel 2011 incide il primo album con la sua band, i Sound of Rum, che la seguono ancora nei suoi tour da solista inaugurati con l’album Everybody Down del 2014, che stava quasi per ricevere il Mercury Prize, e il recente Let Them Eat Chaos.
Europe is lost
America lost
London lost
Still we are clamouring victory
All that is meaningless rules
We have learned nothing from history
Mentre l’Inghilterra impazzisce per la sua musica e la sua presenza scenica (è considerata una delle performer più rispettate della sua generazione) Kate si dedica, contemporaneamente, anche alla scrittura. Non si sente ancora pronta per lavorare a un romanzo, anche se vorrebbe, ma in compenso sia le sue poesie (raccolte nel libro Everybody speaks in its own way) che i suoi spettacoli teatrali ottengono premi importanti e il plauso della critica. La Royal Shakespeare Company le commissiona My Shakespeare, una versione moderna della storia del grande poeta, mentre la piece Brand New Ancients, che fa brillare il suo amore per la cultura classica greca (trasmessole anch’esso dal padre), le frutta tra gli altri il Premio Ted Hughes (la prima under 40 a ottenerlo). Nel 2014, la Poetry Society la inserisce tra i poeti della nuova generazione. E già che c’è, oggi sta organizzando l’edizione 2017 dell’importante Brighton Festival.
Un’artista a tutto tondo, insomma, che continua a unire il suo enorme talento alla volontà di lavorare sodo, senza crogiolarsi inutilmente nella fama. Non per niente Kate è allergica all’esposizione mediatica, che tenta di evitare il più possibile. Non le piace farsi intervistare, non si fida dei media e non ne fa segreto, anzi. Ciò che ha da dire lo dice al suo pubblico, attraverso la sua arte. E considerando come le riesce, dovrebbe bastare.