Login
Facebook
Twitter
Instagram
Newsletter

Recensionando ◇ Resta la polvere di Sandrine Collette

Testata: Gerundio presente
Data: 5 giugno 2017
URL: https://gerundiopresente.wordpress.com/2017/06/04/recensionando-resta-la-polvere-di-sandrine-collette/

Mi sento un po’ come Dolcenera a Sanremo 2016 nel ritrovarmi a recensirvi e consigliarvi il classico romanzo che sa di Faulkner e di McCarthy, di vita agra e degrado agreste. A uno sguardo superficiale Resta la polvere sembra proprio quel tipo di titolo letterario recensito in lungo e in largo in tutti i posti giusti della blogosfera italiana, a cui io posso tutt’al più offrire un’alternativa di genere, di quelle che nemmeno nei peggiori blog di Caracas. Eppure mi tocca constatare – con un misto in parti uguali di disappunto, irritazione e tristezza – che Resta la polvere è rimasto un rombo di tuono lontano, sommerso dal chiacchiericcio della blogosfera e dei saloni letterari, mentre in Francia è stato un fulmine a cielo sereno, capace di incenerire la concorrenza e vendere 170mila. Quindi eccoci per un’altra puntata dei Bellissimi (incompresi) di Rete Gardy.

Di fronte alle grandi domande universali sulla natura dell’uomo e della sua malvagità (intrinseca o figlia dell’ambiente naturale circostante?) io da pettegola di paese me ne pongo una piccola e meschina: come gli è venuto a una docente universitaria di Nanterre con alle spalle due thriller di discreto successo di tirar fuori questo romanzone selvaggio e brutale, che ha il respiro del classici nordamericani e la durezza della vita vera e vissuta? Come un bravo roditore mi sono messa a scavare qui e lì nel grande Internet ma ahimè, le risposte in una lingua a me comprensibile sono state assai parche. La più interessante è che quando non fa la docente universitaria (categoria davvero peculiare e iperattiva in Francia, non c’è che dire), Collette si rifugia nel suo allevamento di cavalli in Borgogna; circostanza che forse può spiegare le vivide descrizioni dei rapporti simbiotici tra i ragazzi protagonisti e i loro criollos, ma comunque non fa davvero luce su come in questa sorta di mezzo western mezzo vita agra si respiri una conoscenza quasi carnale della vita interdipendente agli animali d’allevamento e ai capricci della natura crudele di leopardiana memoria.

Siamo in Patagonia in un momento storico in cui la nascita delle celle frigorifere, dei grandi allevamenti e dell’esportazione globale di carni sta spazzando via il passato. Cacciati dalla pampa nelle zone in cui la terra è così dura che non puoi nemmeno scavare una fossa per sotterrare cadaveri scomodi, i piccoli allevatori sopravvivono grazie alle pecore, meno nobili e più puzzolenti dei manzi, meno esigenti e dalla lana redditizia quanto le carni bovine. La Madre è una donna che ora si vanta della durezza della sua esistenza, ora si rode fino al midollo d’invidia per quello che non ha, mangiandosi ogni briciolo di affezione verso i figli, quattro. Lavorano tutti come schiavi per mantenere la loro misera estancia sul limite della sopravvivenza, l’orgoglio ancorato ai pochi manzi rimasti.

I ricchi si sono sempre fatti lavare i panni sporchi dai miserabili trasferendo su di loro vergogna e sangue, perché i poveri se ne fregano, e a loro volta trasformano la sporcizia in denaro. Non li imbarazza tendere la mano, ci sono abituati da secoli. I figli più grandi sono uniti all’essere gemelli e dall’odio che provano per il Piccolo, Rafael, protagonista putativo delle vicenda, bersaglio di un’infinita serie di angherie. Con il suo stile terso e essenziale Collette ti inchioda alla pagina sin dall’apertura, una sfrenata galoppata in cui il Piccolo a soli quattro anni viene schiacciato tra due selle, costretto ad aggrapparsi per non cadere, nonostante dal cavaliere arrivino solo percosse.

In un vortice di mortificazioni e violenze Rafael cresce ma rimane sempre il Piccolo, trascurato dalla madre inghiottita dai torti del passato e del presente, oggetto solo delle attenzioni dei fratelli aguzzini. Resta la polvere è la lunga galoppata da cui, pur ferito e sanguinante, riuscirà a ottenere la sua rivalsa. Il costo però sarà altissimo: se nessuno è davvero felice all’estancia, nessuno riesce nemmeno a immaginare di lasciarla, perché non sente di appartenere a nessun altro luogo. Rafael avrà un’incredibile opportunità di conoscere il mondo nella sua veste migliore e di fuggire, ma si rivelerà affezionato al ritmo immutabile del lavoro massacrante, dei cani e dell’amato cavallo. Uno dei fratelli – allontanato a forza a causa di un terribile sbaglio della madre – rivelerà invece quell’umanità del tutto inaspettata, che ci si aspettava da Rafael.

Che ne sanno loro dei sentimenti estremi di fratellanza, loro che provano un affetto da cuccioli, inconsapevole ed effimero, affezionati l’uno all’altro quanto al bestiame e meno che al proprio cavallo? Quindi da dove proviene la malvagità che permea la famiglia? I torti subiti dalla madre giustificano i terribili tradimenti che compie ai danni dei figli? Se il lavoro massacrante drena Rafael e i fratelli della loro umanità, perché l’improvvisa promessa di serenità e tranquillità consentita da un colpo di fortuna non diventa un nuovo inizio, ma il principio dell’epilogo più sanguinoso? Resta la polvere non si bea del dolore dei più miserabili cesellando con esso un grande costrutto come prova di (indifferente) talento, bensì cala il lettore nel pieno della bellezza e della brutalità di una vita che il futuro stesso sta per spazzare via. Caliamo sul romanzo armati di uno scopo, come nelle furiose calvalcate al chiaro di luna di Rafael, gli zoccoli imbottiti per non far rumor, poi ci ritroviamo a cavalcare ogni notte e ogni capitolo, dimentichi della meta, sotto una luce lunare che potrebbe ferirci, perché anche la bellezza sa essere terribile nel romanzo di Collette.

Lo leggo? Gli amanti del genere che hanno trascurato quest’uscita per i suoi natali europei e femminili si stanno perdendo davvero un grande romanzo. Lo stile è potente e bellissimo, il passo solido, i personaggi memorabili: non manca davvero nulla. C’è solo un cospicuo scivolone giusto a metà romanzo, dove la cronaca di vita vera diventa per un attimo quasi un mcguffin, per l’introduzione un po’ sgraziata di un elemento fondamentale per permettere al romanzo di avere nuovo slancio. Comunque poca cosa, rispetto al piacere di una lettura tanto intensa. Ci shippo qualcuno? No, ma la scena delle pecore me la ricorderò finché campo.