Savyon Liebrecht è una scrittrice israeliana -in realtà è nata in Germania ma si è trasferita in Israele ancora bambina- abbastanza famosa e di buona reputazione.
Ho affrontato questo suo libro di tredici racconti che sono complessivamente buoni, eppure giunto quasi alla fine mi sono stancato e ho trascurato gli ultimi due.
Perché? Se c’è un popolo che ha la tendenza, fosse quasi la necessità, di raccontarsi è quello ebraico. Capisco, ma dopo decine di libri, molti dei quali bellissimi, letti sul tema, forse mi sono un po’ stancato.
Che sia questo il rischio della letteratura ebraica? Essere cioè costretta a sfornare libri assai belli per continuare a farsi leggere?
Comunque un racconto che io ho trovato molto bello c’è, ed è “Figli”. È un racconto molto dolente e serio, ma veramente ben riuscito dalla prima all’ultima riga, come in questo passo:
“A un tratto la donna chinò la testa, si arrese. Lacrime silenziose le solcarono le guance, e lei le asciugò con dita esperte, cancellandole senza lasciare segno, come chi è abituato a farlo”.