Molti scrittori latinoamericani di oggi hanno oltre a una cultura vasta anche un’esperienza di vita che li porta a guardare ben oltre il proprio giardino: un cosmopolitismo affettivo e intellettuale che non annacqua le origini, ma esalta studi, attitudini, cultura e vita vissuta. Non sono stati certo turisti in giro per il mondo i vari Andres Neuman, Juan Gabriel Vazquez, Santiago Gamboa, David Toscana e, prima di loro, lo stesso Roberto Bolaño, semplicemente hanno trovato altre patrie, anche letterarie – leggendo e vivendo – e sono stati capaci di esplorare territori nuovi o, comunque, inusuali. Anche il colombiano Pablo Montoya, cinquant’anni superati da un po’, è uno di quei latinoamericani coi piedi sulla propria terra e mente e letture immerse in tutto il mondo. Lo dimostra questo suo “Trittico dell’infamia” (263 pagine, 18 euro), pubblicato dalle edizioni e/o nella traduzione di Ximena Rodriguez Bradford. Se non si leggesse il nome dell’autore in copertina, difficilmente si penserebbe a un colombiano, stile e riferimenti sono altri. Montoya orchestra, in un incastro molto interessante di affresco storico e fiction, carneficine e massacri – evocati e messi in pagina senza sconti – figli del fanatismo nell’Europa del sedicesimo secolo, insanguinata dalle guerre di religione, e nel Nuovo Mondo (in particolare l’attuale Florida) insanguinato dai conquistadores, autori di stermini o conversioni forzate. Le tre biografie di “Trittico dell’infamia” sono un monito contro il fanatismo imperante, contro l’insensato e l’impensabile che diventano realtà. Tre artisti che si incontrano e si sfiorano – diversi e complessi, sebbene non particolarmente noti al grande pubblico, i pittori Jacques Le Moyne e François Dubois e l’incisore Theodore De Bry, tutti e tre protestanti – e le loro opere nelle pagine di Montoya sono l’antidoto agli orrori prodotti principalmente in nome della religione cattolica: la colonizzazione delle cosiddette Indie e l’impunito sterminio dei nativi, prima di tutto, e non solo, anche la strage degli ugonotti nella Notte di San Bartolomeo. S’alternano terza persona, prima persona di un protagonista e, infine, anche la voce dell’autore, romanziere latinoamericano in Europa per una borsa di studio mentre cerca di concludere un’opera che ha come protagonisti tre artisti... Non ci sono sbavature, c’è una consapevolezza alta di vita e letteratura, come testimonianza, speranza e impegno contro la barbarie. È una gran bella lettura.