Tra i suoi estimatori c'erano Borges, Adorno, Fleming. Tutti incantati dalla scrittura e dalle storie con cui l'impiegato Leo Perutz si era presentato nel mondo letterario tra gli anni Dieci e Trenta del XX secolo. Fanno bene le edizioni e/o a ripubblicarlo ora nella collana "Gli Intramontabili", perché quell'incanto rimane integro.
"Di notte sotto il ponte di pietra" è un tuffo nella poetica fantasia di cui lo scrittore praghese era maestro. Nella Praga magica del '500, l'imperatore Rodolfo II ama Ester, moglie dell'ebreo Mordehai Meisl, il suo "banchiere". È però un amore che deve sottostare al sortilegio di Rabbi Low, il cabalista artefice del Golem, un amore che conquista i lettori. Il libro, scritto poco prima della scomparsa dell'autore ebreo avvenuta nel 1957, e tradotto per la prima volta nel 1988, è la conferma che Perutz è stato un grande scrittore. Hanno provato per decenni a mettergli etichette: giallista, noir, gotico, ma alla fine i critici hanno dovuto arrendersi. La sua è la grandezza di chi non può essere etichettato, di chi con la fantasia scardina steccati e stereotipi. «È un genio», aveva detto Fleming. Anche questa è un'etichetta. Perutz era semplicemente un impareggiabile narratore di storie, reali e fantastiche.