Ho appena ucciso una persona.
E’ la confessione che ci fa subito, all’inizio del romanzo, il protagonista, uno scrittore di cui non verrà mai detto il nome. E’ seduto su una panchina, guarda la città che dorme e anche quello che ha appena fatto ha i contorni vaghi, come nel sogno che la città sta sognando. Né la città né il paese dove si svolge la vicenda hanno un nome- sono un qualunque luogo in Turchia (e potrebbero essere un qualunque luogo in qualunque altro paese dell’area mediterranea). Ma come è possibile che lo scrittore sia arrivato a tanto? Chi ha ucciso e perché? Che cosa nasconde l’aria di pace sonnolenta del paese in cui si è trasferito in cerca di ispirazione?
Il romanzo di Ahmet Altan, scrittore e giornalista turco attualmente in carcere con la vaga accusa di aver mandato “messaggi subliminali” prima del fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, è un mix di generi- c’è il mystery che ci lascia in sospeso fino alla fine sull’identità della sua vittima, c’è una storia d’amore insolita perché nasce chattando in rete, c’è una faida tra due partiti nel paese fra gli ulivi dove gli omicidi sono all’ordine del giorno, c’è un’aria di leggenda intorno ad un tesoro nascosto sotto una chiesa, e infine c’è una serie di romanzi, uno dentro l’altro. Lo scrittore protagonista (sconosciuto ai più, peraltro) sta cercando di scrivere un romanzo, la donna di cui si innamora gli suggerisce idee, quasi volesse lei stessa scrivere un romanzo, e infine è Dio stesso- con cui il protagonista colloquia come se Dio fosse un suo collega- che scrive di continuo un grande romanzo sulle vicende umane.
E’ un personaggio ambiguo, questo protagonista che si innamora a prima vista della donna che ha incontrato all’aeroporto, che instaura un rapporto con lei passando attraverso il sesso virtuale prima di arrivare ad una conclusione normale, che pensa a lei ma guarda le gambe della domestica che gli pulisce la casa, che chiama una prostituta e si lascia pure sedurre da una maliarda madre di famiglia. Tutti gli sguardi del paese si appuntano su di lui, appena arriva nel paese e vi affitta una casa- non solo quelli delle donne (ah, queste donne che sembrano oscillare tra due mondi, quello di un passato che le vede suddite e quello di un futuro di lasciva libertà), ma anche quelli degli uomini. Lo scrittore è sconcertato, gli ci vuole un po’ per capire le correnti di rivalità e di inimicizia fra le due fazioni, è sconvolto quando assiste al primo omicidio e si rende conto che è l’unico a stupirsi, cerca invano di destreggiarsi e di sottrarsi alle richieste degli uni e degli altri che vorrebbero che parteggiasse per loro.
La sua è un’ambiguità che si rispecchia negli altri personaggi- nella donna, nel sindaco del paese che è stato (e continua ad essere) il primo amore della donna che ora chiede allo scrittore di sposarla, nella maliarda che si serve di caramelle gommose come un segnale amoroso- e perfino nell’atmosfera di un luogo ricco di incanto (gli uliveti, la chiesetta, l’antica moschea) che però si trasforma in cupa minaccia quando qualcuno appicca il fuoco agli ulivi e turba la quiete della chiesa alla ricerca del tesoro favoleggiato, e morti si aggiungono ai morti.
“Scrittore e assassino” si presta a varie letture. Le più intriganti sono quella del romanzo metafisico che trasforma lo scrittore nel protagonista del romanzo scritto da Dio, ponendo quindi il quesito del libero arbitrio, e quella in cui possiamo cercare indizi della storia moderna della Turchia, eternamente in bilico tra oriente e occidente, tra antichi e nuovi comportamenti.