Questo romanzo ha un’ambientazione straordinaria e un inizio irresistibile. Si svolge nel paesino di Giverny, vicino allo stagno con le ninfee e la casa del pittore. Ci sono tre donne, una vecchia, una bella, una bambina, un ispettore con la battuta pronta, il torrione da cui la donna più anziana che sembra una strega, controlla tutto quello che succede.
Giverny è il luogo dove “il pittore strampalato ha deviato il corso di un fiume per creare uno stagno e si è rinchiuso per trent’anni a dipingere ninfee”. Stiamo parlando di Claude Monet ovviamente.
Il cadavere di Jérome Bonneval, un vecchio oculista, viene trovato riverso sulla riva del fiume. Due ispettori sono incaricati delle indagini. Fin dall’inizio il lettore viene messo in guardia che un pericolo incombe sulla vita delle tre donne ma non si capisce qual è, cosa che genera suspense.
cover_ninfee-nere La prima, Fanette, ha 11 anni e uno straordinario talento per la pittura. La seconda, Stéphanie, è l’attraente maestra del villaggio. Mentre la terza è la vecchia che spia i segreti dei suoi concittadini dalla torre.
Fin dal loro primo incontro, l’ispettore Laurenc Sérénac è vittima del fascino della maestra. D’altro canto lei è giovane, molto bella, affascinante e sposata. Ma anche Stéphanie è conquistata dall’ispettore.
Ninfee nere è un giallo con un buon ritmo, dei personaggi interessanti, e non vedi l’ora di scoprire come va a finire. Chi narra è la donna anziana, pressoché invisibile a tutti quelli che la incontrano, il che rileva la condizione di inutilità e invisibilità dei vecchi, ma non mancano bambini in questa storia.
Nel paesino tutto parla di Monet, tutto è legato a lui. I suoi quadri hanno un valore inestimabile: non sarà che qualcuno di questi, non ancora noto, sia nascosto da qualche parte a Giverny e che la cosa sia da mettere in relazione con la serie di delitti? Il paradiso ha le sue crepe, come spiega la maestra che ha occhi del colore delle ninfee:
Guardi questo parco, ispettore, le rose, le serre, il laghetto. Le rivelerò un altro segreto: Giverny è una trappola! Certo, una scenografia meravigliosa. Chi si sognerebbe di andare a vivere altrove? Un paese così bello… ma le dico una cosa: è una scenografia cristallizzata, pietrificata. C’è il divieto di decorare qualsiasi casa in maniera diversa, di ridipingere un muro, di cogliere un fiore. Dieci leggi lo proibiscono. Qua viviamo in un quadro, siamo murati vivi!
Logo Pagine gialle fissoMichel Bussi è professore di geografia. Vive in Normandia, dove ha ambientato quasi tutti i suoi romanzi, e si considera autore di “thriller domestici” perché le sue eroine sono madri di famiglia, piuttosto che detective privati. Così è più facile chiedersi: “E se fosse successo a me?” Bussi dice che è stato influenzato dal giallo americano, ma soprattutto da scrittori francesi come Pennac, Japrisot e Pierre Magnan.
Attualmente è il terzo scrittore più venduto in Francia, dopo Musso e Levy, e ha venduto più di un milione di copie. Eppure anche lui ha alle spalle una storia di rifiuti. Nel 1990 aveva mandato il suo primo giallo a Gallimard, ottenendo un cordiale rifiuto. Il suo romanzo è rimasto dieci anni in un cassetto.
Attenzione spoiler!
C’è uno straordinario colpo di scena finale, davvero molto efficace e sorprendente, ma poi i conti non tornano del tutto e gli ingranaggi ogni tanto scricchiolano. Non entrerò in dettagli come il campo pieno di sangue che miracolosamente scompare pochi minuti dopo. Ancora più grave è la fine del capitolo 70, dove troviamo Fanette in classe con Stéphanie Dupain.
Ma quello che convince meno è la necessità. Gli impedimenti, i vincoli, a cui si piegano i personaggi non sono necessari. D’accordo, l’ispettore è costretto a scrivere il suo messaggio d’addio alla sua bella, mentre il marito di lei minaccia di ucciderlo con un fucile. Ma non appena riprende la moto, cosa gli impedisce di denunciarlo, persino di arrestarlo per quello che ha appena fatto e di correre da lei? Invece se ne va con la coda tra le gambe, il che non corrisponde neanche alla psicologia del personaggio – non particolarmente pavido – che abbiamo conosciuto. Peccato, perché non c’è niente che un bravo editor non avrebbe potuto sistemare.
Poi avrei un’obiezione più generale. A proposito di necessità. La vita è lunga. Perché questa donna tanto dotata e desiderosa di amare non ha mai lasciato l’uomo che non ama e che giudica il suo carceriere? Né ha mai trovato un modo per esprimere il suo talento?