Cuba assomiglia a un vecchio disco in vinile, per giunta rigato? Per Canek Sánchez Guevara non c’è immagine migliore per descrivere l’isola. Nel suo Il disco rotto. 33 rivoluzioni (edizioni e/o, pp. 106, euro 10), sembra infatti che a L’Avana tutto sia in decadenza e polveroso: i ripetitivi discorsi ufficiali, a iniziare da quelli di Fidel Castro, che somigliano a «dischi che suonano insieme»; gli autobus scassati dove ci si accalca praticando lo sport di poco innocenti palpatine; la vita in condomini disagiati con ascensori quasi sempre non funzionanti e docce usate di rado perché non c’è acqua; le giornate trascorse in lavori improduttivi e poco gratificanti; le ore perse in match con la burocrazia dilagante («il nemico in casa»).
Le trentatré istantanee di vita quotidiana che compongono questo pamphlet non danno speranza: dei propositi della rivoluzione del 1959 sembra rimasto poco o niente. Da alcuni riferimenti del testo, si ha l’impressione che le annotazioni siano state scritte di prima mano nei primi anni Novanta, quelli del terribile «periodo especial» seguito alla fine dei rapporti di favore con Mosca. In quegli anni la penuria di beni di prima necessità raggiunse livelli senza precedenti. Nel 1994 divampò pure la «crisi dei balseros»: migliaia di cubani lasciarono l’isola con mezzi di fortuna approfittando della temporanea apertura delle frontiere via mare con la Florida. Gli appunti di Canek sono stati poi rielaborati in forma definitiva nel 2007, quando visse a Parigi.
La situazione di degrado di Cuba di quel periodo è stata descritta da altri scrittori dell’isola (per esempio Pedro Juan Gutiérrez in Trilogia sporca dell’Avana o Zoé Valdés in Il nulla quotidiano), ma questa volta fa scandalo il pedigree dell’autore.
Canek è figlio di un guerrigliero messicano e di Hildita Guevara, primogenita di Ernesto Che Guevara. Da scandalizzarci però non c’è molto, se si guarda alla breve biografia di Canek, morto nel 2015 per problemi al cuore a soli 39 anni, stessa età di suo nonno e di sua madre. Lui è stato sempre insofferente verso ogni forma di potere, più anarchico ribelle e personalità sfuggente che comunista per obbligo famigliare. Ha spesso usato la scrittura come arma contundente e irridente. Ha pure tenuto una rubrica giornalistica in Messico battezzandola Diario senza motocicletta per fare il verso a uno dei diari più famosi del nonno. A Cuba si è fermato solo dieci anni, andandoci a vivere con la madre che faceva la bibliotecaria presso la prestigiosa Casa de las Americas dopo un periodo milanese nella redazione de Il quotidiano dei lavoratori. Non ha mai sopportato di essere additato come «il nipote del Che», di cui doveva seguire obbligatoriamente l’esempio.
In definitiva, Canek è stato un Guevara dei tempi nostri: curioso, irregolare bastian contrario. Cuba, intanto, con tutti i suoi problemi irrisolti, è ancora lì. Ha resistito perfino alle recenti visite di Barack Obama e Rolling Stones, impensabili fino a non molti anni fa.