L’autore, morto un anno fa in Messico a quarant’anni, era figlio della figlia di Che Guevara. Lasciò Cuba nel 1996 dopo averci vissuto per dieci anni scoprendo una realtà ben diversa da quella per cui suo nonno era morto. Delle sue convinzioni politiche scriveva: “La rivoluzione cubana non è stata democratica perché ha partorito una borghesia, apparati repressivi pronti a difenderla dal popolo e una burocrazia che lo teneva a distanza. Ma soprattutto è stata antidemocratica per il messianismo religioso del suo leader”. La breve vita di Canek è ricostruita nell’introduzione da Jesús Anaya, che è stato amico di sua madre e suo e che vive e insegna da anni in Italia. Il “disco rotto” del titolo (un 33 giri inceppato) non è altro che la rivoluzione cubana, descritta con eco e mestiere di salda e brusca letteratura nella quotidianità squallida e impotente di un impiegato di pelle nera, che finisce per reagire con la fuga, dopo averne viste tante altre, su una zattera improvvisata verso il mare aperto. È con il suo naufragio che termina questo breve e intenso ritratto di vita quotidiana in una società che non dà speranze. All’ossessione dello “stiamo facendo la storia, compagno”, il nipote di Che Guevara diventato anarchico e “vagabondo di professione”, rispondeva che è “la Storia (che) ci trascina via”.