Prima dell'Amica geniale, prima delle indagini più o meno letteraria sulla sua identità, del grande successo persino oltreoceano, delle polemiche. Di voler scrivere e basta, Elena Ferrante lo ha sempre detto. Sin dalla prima lettera ai suoi editori che apre La frantumaglia, raccolta di corrispondenze e appunti, di interviste rilasciate (solo via mail) e altre a lungo rimandate, di risposte ai suoi lettori. Libro originale e affascinante, pubblicato nel 2003 (con scritti dal '91), e aggiornato quattro anni dopo, uscito adesso in una nuova edizione con il materiale più recente: «Lettere 2011-2016». Un viaggio nel laboratorio dell'autrice, mosaico di passioni e paure, rare rivelazioni, dubbi. Per titolo un vocabolo del dialetto materno: «Lo usava per dire come si sentiva quando era tirata di qua e di là da impressioni contraddittorie che la laceravano-scrive-. Diceva che dentro aveva una «frantumaglia». La parola per un malessere non altrimenti definibile rimandava a una folla di cose eterogenee nella testa, detriti su un'acqua limacciosa del cervello».
L'anonimato come condizione essenziale per pubblicare, non certo per scrivere. Nessuna presentazione e nessun dibattito, niente promozione, cerimonie per ritirare premi. Sta per uscire il suo primo romanzo, nel 1991, e la Ferrante scrive a Sandra Ozzola della e/o: «Non intendo fare niente per L'amore molesto, niente che comporti l'impegno pubblico della mia persona. Ho già fatto abbastanza per questo lungo racconto: l'ho scritto; se il libro vale qualcosa, dovrebbe essere sufficiente». Scelta mai mutata in questi venticinque anni, ribadita con forza nelle ultime interviste, in particolare lo scorso anno con la candidatura allo Strega per Storia della bambina perduta, quarto e definitivo capitolo della vicenda delle «ami-nemiche» Lila e Lenù, le sue ultime donne.
Elena (e Lina attraverso di lei), dopo Delia, dopo Olga de I giorni dell'abbandono e Leda di La figlia oscura «scrivono di sé per capirsi», con sincerità e senza ipocrisie. Protagoniste di storie tutte al femminile anche grazie a Menzogna e sortilegio di Elena Moranta, autrice prediletta, che le ha fatto capire come una trama «di desideri e idee e sentimenti di donna poteva essere avvincente e. insieme, avere una grande dignità letteraria». Storie inventate, film (bello il carteggio con Martone) o di cui stava nascendo la sceneggiatura. Sullo sfondo spesso Napoli, amata e abitata, discussa, lasciata, ritrovata.
Una «frantumaglia» tanto armonica che stupisce sia nata da materiale così diverso e (solo) apparentemente casuale. Restituisce l'immagine di una donna e madre colta e vera, diretta e determinata, che sa mettersi in discussione. In borsa sempre un taccuino e un libro, mai omologato, capace di infilarsi nelle crepe dell'intonaco, come un «cocciuto fiore di cappero». Una che, per fortuna dei suoi lettori, ha ancora voglia di scrivere storie (fra le pagine l'eco di romanzi immaginati, mai arrivati alla casa editrice). Racconta della Ferrante tutto quello che basta sapere.