Giverny, 13 maggio 2010. Il ruscello che pare dipinto, il ponticello giapponese, le ninfee che danzano sull’acqua. Un paesaggio idilliaco noto in tutto il mondo grazie ai quadri senza tempo di Claude Monet, il cittadino più illustre della città normanna. Questa volta però il rosso non viene da qualche tavolozza di colore accanto alla tela di uno dei tanti turisti e pittori che da ogni dove arrivano a Giverny per trovare ispirazione, ma dal cranio sfondato di Jérôme Morval, noto oftalmologo, sposato con Patricia Cheron, collezionista d’arte, marito infedele e senza figli. Proprio i presunti tradimenti a sua moglie e la sua passione per l’arte, in particolare l’impressionismo, sono le due piste che comincia a seguire il commissariato di Vernon, capitanato dal giovane ispettore Laurenç Sérénac. Il signor Morval è stato ucciso, pare, in tre modi distinti: una pugnalata al petto, il cranio sfondato da una pietra e annegato. Il colpo mortale è stato il primo, gli altri due sembrano gesti rituali: probabilmente il corpo è stato trasportato sulla sponda del ruscello solo in seguito. Un altro fatto inquietante che fa subito capire all’ispettore di non esser davanti a un ladro o un’uccisione accidentale è il biglietto trovato in tasca alla vittima, una cartolina delle ninfee di Monet, sul retro due testi difficili da decifrare: “Undici anni. Buon Compleanno” e subito sotto “Acconsento a che si instauri il delitto di sognare”…
Già dall’incipit l’autore ci porta in un mondo che ha i contorni di una fiaba nera: “Tre donne vivevano in un paesino. La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista. Il paese aveva un grazioso nome da giardino: Giverny”. L’introduzione apre il sipario su una tela impressionista, in cui le protagoniste sono tre donne che non possono fuggirne. I colori vischiosi, le ninfee che soffocano il flusso vitale e i turisti che arrivano in continuazione sembrano bloccarle in quel luogo incantato. La prima donna che conosciamo durante la lettura è molto vecchia, una cinica ottuagenaria che ha visto ogni cosa del delitto: abita in un grande mulino proprio in riva al ruscello dell’omicidio. Nei tredici giorni in cui si svolge il romanzo, fra indagini ed excursus sulla storia dell’impressionismo e della vita di Claude Monet, impariamo a conoscere le altre due protagoniste dell’incipit: la prima è una bambina di undici anni, Fanette Morelle, che ama passare il tempo a dipingere nei gialli campi di grano che circondano la cittadina, la seconda è Stéphanie Dupain, la maestra dagli occhi color malva di cui si innamora perdutamente perfino l’ispettore Sérénac. Il tempo è scandito da una doppia narrazione, quella della vecchina che confessa subito al lettore di voler “diventare un testimone, in questo caso”, un’osservatrice muta delle indagini, e quella delle indagini stesse, in cui l’ispettore e il suo fidato vice Sylvio Bènavides si arrovellano per dipanare la matassa e arrivare a trovare un colpevole e un movente all’omicidio dell’oftalmologo. Pagina dopo pagina nuovi tasselli si aggiungono alla storia: un incidente avvenuto nel 1937 in cui Albert Rosalba, un bambino di appena undici anni, perse la vita sulle sponde dello stesso ruscello dipinto tante volte da Monet; cinque fotografie che ritraggono il signor Morval in atteggiamenti più o meno sessuali con altrettante donne, nessuna delle quali è la sua consorte; l’eterno ritorno nelle indagini della Fondazione Robinson, che si occupa di scouting e promozione di giovani artisti. Fra le parti più interessanti del libro vi sono i continui riferimenti all’uomo delle ninfee, Claude Monet. Bussi è più abile nel costruire un mosaico di indizi per il suo giallo che a caratterizzare i personaggi, che rimangono pennellati in maniera sfocata – come in un quadro impressionista. Il cuore del libro è più sentimentale che investigativo e racconta di amori che si intrecciano, si perdono e ritornano fino alla pennellata finale, in cui la fiaba nera trova la sua fine: “A mai più, per sempre”.