La domanda, per chi finora è riuscito a intervistarla, rigorosamente via mail, prima o poi arriva, cade inevitabile. Chi è veramente Elena Ferrante, perché ha scelto, si ostina nell'anonimato che ormai ha ipnotizzato il mondo da oltre vent'anni? E lei, chiunque sia, non si sottrae, risponde, in modo chiaro. Al posto di Elena Ferrante parlano i romanzi che ha scritto, che non c'è «alcunché di misterioso, visto che si manifesta, forse fin troppo, dentro la sua stessa scrittura», e che il suo non è anonimato, ma «assenza», perché «sentivo il peso di espormi in pubblico, volevo staccarmi dal racconto compiuto, desideravo che i miei libri si affermassero senza il mio patrocinio», dichiarava al "New York Times" nel 2014, uno dei colloqui-interviste presenti ora nell'edizione riveduta e ampliata de "La frantumaglia" (edizioni E/O), appena ripubblicata con una sezione che comprende il periodo che va dal 2011 a oggi, quindi gli anni della tetralogia de "L'amica geniale". Messo da parte l'ingombrante mistero sull'identità, senza lesinare dettagli che lei è madre di due figlie, è nata e vissuta a lungo a Napoli, ha fatto studi classici, l'autrice apre il suo laboratorio, racconta che «fin da piccola mi piaceva raccontare, lo facevo oralmente, e con un certo successo. Intorno ai tredici anni ho cominciato a scrivere storie, ma la scrittura è diventata stabile dopo i vent'anni, un'abitudine, un esercizio permanente», confida l'ammirazione per Elsa Morante, «modello ammaliante, cerco di imparare dai suoi libri, ma mi pare insuperabile», e che lei è sempre stata una lettrice che non badava alla biografia dell'autore ma alla potenza narrativa in cui perdersi, «non so quante volte ho letto "I miserabili" senza sapere assolutamente niente di Victor Hugo».
L'attenzione è tutta rivolta alla cassetta degli attrezzi della Ferrante, alla scrittrice che confida del suo rigoroso rapporto di corpo a corpo con la scrittura, lima, rivede, corregge fino al giorno prima di andare in stampa, e come ad accompagnare tutte le sue opere, fin da "L'amore molesto", ci sia un suono costante di sottofondo, ineludibile, che anima ogni personaggio, Napoli nelle sue metamorfosi dal dopoguerra a oggi, la vibrazione che lei chiama "frantumaglia", termine che risale a "La figlia oscura", romanzo del 2006 con cui lei ha un rapporto forte, doloroso, anticamera per comprendere a fondo le dinamiche di Lila e Lenù de "L'amica geniale".
«Mia madre mi ha lasciato un vocabolo del suo dialetto che usava per dire come si sentiva quando era tirata di qua e di là da impressioni contraddittorie che la laceravano. Diceva che dentro aveva una frantumaglia. La parola per un malessere non altrimenti definibile, rimandava a una folla di cose eterogenee nella testa, detriti su un'acqua limacciosa del cervello.