La bellezza di un luogo può rivelarsi un'opprimente prigione nei cui spazi reconditi restano sepolti delitti e passioni inconfessabili. Basta un nulla però per mandarne in frantumi l'apparente armonia e lasciar libero corso a incubi e fantasmi. Michel Bussi, uno dei migliori autori de noir francese contemporaneo, ha ambientato l'avvincente Ninfee nere (trad. di Alberto Bracci Testasecca, e/o, p. 394, 16€) nei paesaggi da cartolina di Giverny, il celebre villaggio della Normandia dove Claude Monet visse gli ultimi trent'anni della sua vita dipingendo le ninfee dello stagno davanti a casa. Oggi il delizioso scenario è un luogo di culto dove giungono turisti da tutto il mondo per celebrare la memoria dell'impressionismo, ma dove gli abitanti devono continuamente fare i conti con l'ingombrante memoria del loro illustre concittadino. Così quando un celebre oftalmologo con la passione per le donne e la pittura viene ritrovato con la testa spaccata a due passi dalla casa del celebre pittore, l'ispettore Laurenç Sérénac e il suo vice Sylvio Bénavides sono costretti a interessarsi alle vite degli abitanti. Tra questi un'affascinante e inquieta maestra di scuola, una bambina pittrice di talento e un'anziana accidiosa che passa il suo tempo a spiare tutto e tutti. Grazie a una costruzione vertiginosa, Bussi mescola abilmente passato e presente, realtà e illusione, ricordi e intuizioni. Alla fine ne esce un affascinante romanzo a metà strada tra poliziesco di provincia e storia di passioni, in cui l'amore per l'arte s'intreccia con i tormenti dell'amore dando un senso alla famosa frase di Aragon: «Acconsento a che si instauri il delitto di sognare». Che non a caso è una delle chiavi di questo riuscito romanzo, tra le cui pagine ci si lascia andare come in un quadro dell'ultimo Monet, fino all'imprevedibile colpo di scena finale.