«Una cosa gli consentì di sopravvivere: l’amore appassionato che era nato in lui per la terra e i fiumi». La letteratura americana nasce come racconto dell’innamoramento tra un uomo e un nuovo territorio. Con mezzelune in cielo, querce, aceri, eucalipti, fiumi, isole da esplorare cariche di promesse, oche che all’improvviso riempiono il cielo per migrare, pini altissimi, castagni, zanzare, granchi e fuochi da accendere all’aperto, l’America è vista come luogo straordinario, luogo di pace e speranza, paradiso in terra. Ogni volta che uno scrittore statunitense si è messo a scrivere un romanzo che attraversa le epoche della storia americana ha finito per comporre frasi come: «Quando un uomo si insedia in un posto nuovo, e prende una nuova moglie si lega per sempre alla sorte di quel luogo ed è obbligato a difenderlo in guerra e guidarlo in pace». Oppure riporta dialoghi e frasi come: «Stiamo costruendo la nostra fortuna!». James A. Michener ha scritto tanti romanzi monumentali sull’America, dai titoli brevi e inequivocabili come: Hawaii, Alaska, Texas (tra la fine degli anni quaranta e gli anni novanta). La casa editrice e/o per l’estate ha ripubblicato La baia. È un romanzo gigantesco, ambizioso, che copre un arco di vita del continente dal 1600 al Watergate. Lo fa raccontando principalmente tre famiglie, ma la narrazione è onnivora e dentro finisce di tutto, le tribù indiane con donne misteriose e bellissime, le lotte dinastiche inglesi, la guerra tra cattolici e protestanti – con torture, processi, abiure e impiccagioni –, l’Africa e i neri che vengono portati a lavorare il tabacco. Compaiono innumerevoli matrimoni e nascite, in una scrittura epica, romantica, che unisce sentimenti e terra: «Si sposarono prima che cadesse la prima neve», scrive Michener. Ha ragione: «Nessuno dovrebbe restare lontano dalla propria terra». Soprattutto se si nasce scrittori in America.